11 dic 2021

Scacchiera compulsiva

La partita a scacchi come "serious game", come esercizio intellettuale, come metafora, come vera e propria ossessione, perché come si legge nel racconto "Non ci si rende già colpevoli di una limitazione offensiva, definendo gli scacchi “un gioco”?" 

Stefan Zweig
(1881-1942)
La splendida "Novella degli scacchi" di Stefan Zweig eccelle nell'incardinare al fascino della scacchiera allusioni e ossessioni, in un crescendo con finale fuori dal cliché. La storia in breve è una sfida a scacchi tra un giovane campione professionista e un tormentato "genio" della scacchiera dal passato doloroso. Un'ossessione compulsiva, una revanche destinata alla disfatta: la "vita" si gioca sulle 64 caselle nere e bianche, e mentre si svolge l'epica battaglia, balenano sempre più vicini gli echi oscuri della storia. 

Particolarmente suggestive le corrispondenze tra il protagonista del racconto e la biografia dell'autore, anch'egli esule, rifugiato in Brasile dall'Austria precipitata nel baratro della "più spaventosa sconfitta della ragione e al più selvaggio trionfo della brutalità", come l'autore scrisse in una lettera del novembre 1941. E' infatti a Petròpolis, nei pressi di Rio de Janeiro che Zweig scrive quest'ultimo racconto, ispiratogli dal suo tentativo di liberarsi delle depressione, in cui è caduto,  cimentandosi nel replicare celebri partite su una scacchiera che ha acquistato all'uopo. 

É l'8 gennaio 1944 quando inoltra il manoscritto finito a un amico scrittore e scacchista per avere un parere spassionato, Zweig tiene molto al racconto. Poco dopo, il 22 febbraio 1942, si suicida insieme alla giovane moglie assumendo del Veronal. Non è un gesto d'impeto ma un atto pianificato, il giorno prima ha inviato copie del manoscritto a suoi editori e traduttori. Al momento del commiato lascia una lettera datata il giorno stesso in cui constata "il mondo della mia lingua per me è andato perduto e la mia patria spirituale, l'Europa, si è autodistrutta", dichiara esaurite le forze e conclude con:"Saluto tutti i miei amici! Possano rivedere l'aurora, dopo la lunga notte! Io, troppo impaziente, li precedo."

Lettura consigliatissima.


Il tema della partita a scacchi si presta a molteplici narrazioni metaforiche e per questo è variamente utilizzata, dalla partita con la morte nel film " Il settimo sigillo" (1957) di Ingmar Bergman a quella giocata da Ron nel romanzo "Harry Potter e la Pietra Filosofale" (1997). A livello letterario abbondano riferimenti agli scacchi, trai miei preferiti segnalo "Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò" (1871) di Lewis Carroll, il racconto "L'alfiere nero" (1867) di Arrigo Boito e il romanzo "La variante di Luneburg" (1993) di Paolo Mauresing. 


[ La novella degli scacchi / Stefan Zweig / SE ]


20 nov 2021

Honza: una beatnik a Praga

Jana Černá"Honza"
(1928-1981)

Era il 1951 quando Jana Černá consegnò il manoscritto "Clarissa a jiné texty" (Clarissa e altri testi) allo scrittore Ivo Vodseďálek per la pubblicazione, salvo cambiare idea solo pochi giorni dopo, arrivando persino alle minacce per farsi restituire il manoscritto e le prime copie già stampate (quattro in tutto...). Il materiale fu restituito ma Vodseďálek conservò una trascrizione che poi pubblicò ma solo nel 1990, quasi dieci anni dopo la morte dell'autrice.  

Il materiale di "Clarissa" scritto da Honza (il diminutivo usato dai suoi amici) comprende alcuni racconti e qualche breve testo in versi, una fantasia provocatoria, libera, femminista, anti-borghese, a tinte forti in perfetto stile beat; il titolo con cui è stato pubblicato in italiano nel 1992 e che riprende il primo verso di una delle poesie della raccolta, non lascia adito a dubbi: "In culo oggi no"

Honza ebbe una vita tormentata e non priva di ombre compresa una condanna per incuria verso i figli, i suoi amici (con cui componeva un circolo di intellettuali e artisti a Praga, tra cui lo scrittore Bohumil Hrabal e il filosofo Egon Bondy, il fotografo Vladimír Boudník) la descrivono come una donna intelligente, piena di humor, ma incapace di badare a sé stessa, sempre sospesa sulla miseria, una poetessa maudite. Sua madre, morta nel 1944 nel campo di concentramento di Ravensbrück, era Milena Jesenská, la celebre Milena di Kafka e anche se Jana non conobbe mai il celebre scrittore, morto nel  1924, quattro anni prima della sua nascita, ugualmente (come testimoniato dai suoi amici) si vedeva come "la figlia di Franz Kafka", il che rende ancora più suggestiva l'ombra tragica che avvolse la sua triste vita. Jana fu sfortunata ma non rassegnata, sicuramente emancipata e libera, anche se dovette combattere con la miseria e adattarsi ad ogni sorta di espediente per sopravvivere.

Praga

I testi di "Clarissa" sono spregiudicati, erotici, persino pornografici, liberi e scanzonati, di certo non lasciano indifferenti... come scrive la stessa Honza: "ho letto di nuovo quel che ho scritto e mi sono spaventata".

[ In culo oggi no / Jana Černá / edizioni e/o]


31 ott 2021

La pietra della follia - Benjamín Labatut

Benjamín Labatut

Il talentuoso scrittore cileno Benjamín Labatut accompagna il lettore in una riflessione sulla possibilità di afferrare la realtà, laddove la complessità (derivante dalla crescente massa di dati cui oggi abbiamo accesso) finisce per eludere ogni possibilità comprensione e conoscenza piena.


Uno stile letterario per una divagazione lucida tra scienza, politica, attualità e letteratura.


Il mondo è incubi e pericoli: terrori letterari, H. P. Lovecraft; orrori della storia, Pinochet; cospirazionismi e paranoie, P. Dick; complesso di persecuzione, blogger aspiranti scrittori; politici improvvidi, Jair Bolsonaro, Donald Trump, Boris Johnson.  


Il titolo stesso di questo scritto preannuncia il riferimento al celebre dipinto "Estrazione della pietra della follia" dell'olandese Hieronymus Bosch, una rappresentazione della stupidità (tanto dello stolto che si fa curare, quanto del cialtrone guaritore). Pur stigmatizzando l'ignoranza del cospirazionismo Labatut tuttavia problematizza la questione della conoscenza mostrando il limite della comprensione insito nella complessità. La scienza ci mostra infatti che anche piccolissime variazioni nei dati, possono provocare grandissime differenze nel determinare le previsioni. 

Siamo dunque condannati a che qualcosa ci sfugga sempre? Secondo l'autore del best seller "Quando abbiamo smesso di capire il mondo" (che inanella storie vere di scienziati che si sono confrontati con l'abisso della conoscenza) "il prezzo che paghiamo per la conoscenza è la perdita della nostra capacità di comprensione".


Il dipinto del 1494 di
Hieronymus Bosch (1453-1516)
Nell'abisso del caos delle sterminate moltitudini di informazioni la cui interconnessione e interdipendenza sfugge alla nostra capacità di comprensione (quindi di controllo e previsione) il limite tra reale e irreale si fa più prossimo, fino a confondersi, come in un racconto di H. P. Lovecraft o di P. Dick. L'incubo si mostra e ci guarda dall'abisso che si spalanca alla nostra impotenza. 

E dunque? abbandonarsi al delirio? al misticismo?

No, piuttosto restare vigili ma senza negare il limite cui siamo sospesi. Incubi e sogni sono soltanto l'esito della nostra tendenza, disperata e irrinunciabile, a "dare un senso al mondo". 

Una rivendicazione della necessità di mantenere aperti più punti di vista, come lo stesso Labatut ha affermato in una intervista: "La scienza e la letteratura sono due visioni necessarie del mondo, hanno bisogno l'una dell'altra, perché entrambe hanno dei punti ciechi." 


[ La pietra della follia / Benjamín Labatut / Adelphi ]


16 ott 2021

Batraci umanoidi giapponesi

Akutagawa Ryūnosuke
(1892-1927)
Un racconto meraviglioso, un capolavoro, si tratta del racconto "Kappa" scritto dal giapponese Akutagawa Ryūnosuke nel 1926, quasi un "Alice nel paese delle meraviglie": il protagonista insegue un Kappa (creatura leggendaria del folklore giapponese, sorta di umanoidi/tartarughe/rane abitanti di fiumi e stagni) fino a cadere in una fossa profonda per risvegliarsi nel mondo sotterraneo di queste creature, un mondo dove la società dei Kappa evoluta e complessa come quella giapponese si fonda però su un capovolgimento dei principi e dei valori. Questo rovesciamento è l'occasione (riuscitissima) per mostrare l'incongruità e le contraddizioni della società umana. Il protagonista però non è una bambina (che sa darsi ottimi consigli, ma poi seguirli...) bensì un uomo, e precisamente la storia è la sua testimonianza raccolta nel manicomio in cui è ricoverato, egli è il paziente n°23. 

un Kappa in un disegno
di Hokusai (1760-1849)



La società dei Kappa, la loro cultura, è illustrata dalle azioni di svariati personaggi: il poeta Tock (che si suicida), il musicista Craback, il filosofo Mag, il prete Lap, il capitalista Gael. Un capolavoro di satira dalla sfolgorante inventiva ma anche di riflessioni profonde sul senso delle cose. Nel testo si trovano una citazione di Basho e anche arguti riferimenti a Nietzsche, Tolstoj, Wagner, Strindberg, Kunikida, Baudelaire. Una domanda aleggia tra le righe nel finale, chi "vede" più chiaramente il folle n°23 o i presunti sani?

Akutagawa conosceva bene l'inglese e tradusse molte opere europee dalla versione inglese; pur  ottenendo consensi per la sua produzione, per tutta la vita fu tormentato da un disagio esistenziale (tra cui il timore di impazzire come la madre suicida quando era bambino) culminato con il suicidio, nel 1927 a soli 35 anni, con il Veronal (come "La signorina Else" di Schnitzler).

Il geniale scrittore è altrimenti noto per il racconto "Rashōmon" (1915) da cui è stato tratto l'omonimo e celeberrimo film di Akira Kurosawa. Tra i racconti raccomando la lettura  di “Gesù di Nanchino“ (1920), particolarmente poetico.

[ Kappa / Akutagawa Ryūnosuke / SE ]

[ Lucifero e altri racconti / Akutagawa Ryūnosuke / Lindau ]


10 ott 2021

Bibi-la-Bibiste

 Raymonde Linossier
In questo tardo pomeriggio di ottobre 2021 mentre il cielo imbruna, ho appena finito di leggere questo splendido libretto "Bibi-la-Bibiste" insieme a qualche nota sulla sua autrice Raymonde Linossier  (1897-1930). Si tratta di un libro peculiare, pubblicato il 7 febbraio 1918, "stampato su 14 facciate, compresa quella del titolo, quasi vuote"; il romanzo conta ben cinque capitoli, il più lungo di dodici righe. Un capolavoro, senz'altro. 

L'edizione italiana moderna (testo francese con traduzione e fronte) che ho trovato per caso tra i libri usati, oltre alle 5 pagine del romanzo conta più di 100 pagine (preziose) di appendici, documenti e qualche foto, in un paio di queste è ritratta anche Raymonde che sorride dal bianco-nero. Certo questa edizione non ha valore collezionistico come invece ne avrebbe una delle cinquanta copie originali, ma tanto basta per assaporare il profumo della carta e mentre il buio avanza fantastico della Parigi dei primi del '900, quella di Raymonde. Per rendere l'atmosfera più suggestiva ho deciso di ascoltare (forse per la prima volta) la musica di Satie, un amico di Raymonde: un brano e poi un altro, malinconici, quel che ci voleva per chiudere questa domenica d'autunno. 

Consiglio la lettura, è un ottima occasione per fare conoscenza dell'autrice, Raymonde Linossier, "la potasson più giovane al mondo". Difficile riassumere in poche righe una vita tanto breve quanto intensa: intellettuale, poliglotta, orientalista, autrice, fondatrice del "Bibisme" e alfiere dei "Potasson" (un gruppo di amici e scrittori alla ricerca della "bonheur de vivre"). Di lei conoscenti e amici testimoniano la gentilezza, la modestia, l'essere spiritosa. Tra le molte relazioni d'amicizia e professionali innumerevoli celebrità: Erik Satie (compositore e... segreto custode di ombrelli), James Joyce (per il quale tradusse un capitolo dell'Ulisse, e che l'autore omaggiò inserendone il nome nel capitolo su Circe), Ezra Pound (che  tentò di trovare un editore a Londra e New York per il geniale micro-romanzo), il compositore Francis Poulenc amico di una vita, Adrienne Monnier della libreria parigina "La maison des Amis des livres" (frequentata tra gli altri anche da Walter Benjamin) e molti altri.

[ Bibi-la-Bibiste / Raymonde Linossier / Stampa Alternativa ]


Insani gesti

Alesandra Carnaroli
Un libricino, breve e di formato minuto, niente immagine di copertina (è già un buon segno), finalmente leggere poesie, se ne sente il bisogno, come di questi esercizi macabri, un'enumerazione di tentati suicidi e altrettanti assassinii, 50 + 50 a fare numero tondo. 

Qual'è il senso? Perché, piuttosto che no?

Disperazione forse, traumi, desiderio di liberazione... la banalità del quotidiano che diventa furia omicida, autodistruttiva o fuga,  definitiva, termine della corsa. Ma non c'è tensione dinamica, non c'è slancio, nessuna ansia.  Piuttosto accettazione, un osservare, intravedere la possibilità, un prendere atto. Una rêverie lugubre (ma non sconfitta) che dice l'indicibile, l'inconfessabile, ammette la fatica, ascolta il bisogno e le fragilità. Di chi? dell'autore? del lettore? L'autrice si misura con i suoi tormenti, non senza tratti umoristici, immaginando, pianificando, mettendo in scena il superamento del limite, la fine propria o altrui (non è forse quasi lo stesso?). 

Un esorcismo (o desiderio) quasi compiaciuto. Una volta abbracciato, l'ineluttabile diventa libertà. Come per Kafka quando gli fu comunicato l'irreversibilità del suo male, libero finalmente dalla speranza come dalla preoccupazione. Non più tormentato dalla possibilità. 

Siamo oltre le intenzioni dell'autrice? e dunque sia, o non sarebbe poesia. 

Una lettura che tocca, divertentemente triste, liberatoria, dolorosamente piacevole. 

Banalmente: non banale, poetica.

[ 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti / Alesandra Carnaroli / Einaudi ]


Pulp a Cotonou

Florent Couao-Zotti

L'Africa contemporanea in un romanzo polar ambientato nella città di Cotonou in Benin, tra femme fatale, gangster dal grilletto facile, braccia che brandiscono minacciosi machete e poliziotti non così limpidi. Su tutto il caldo africano, le piogge improvvise, il caos degli zem (moto-taxi) che infestano il traffico come le mosche in un mercato troppo caldo. Lo spettro del primo mondo che fa dell'Africa il deposito dei propri scarti, il traffico di droga che attraversa i continenti e produce false promesse e nuove tragedie, la violenza che sobbolle esplodendo improvvisa come un temporale africano. 
Il romanzo dell'acclamato Florent Couao-Zotti si legge d'un fiato, con la stessa precipitazione dei protagonisti, sempre in corsa in una notta di morte e inseguimenti che non lascia il tempo di riflettere ma solo agire. 

Fanta face, Coca-Cola body


Un gustabilissimo pulp pervaso da un lessico suggestivo ed evocativo: le fanta-coca (le donne nere che sbiancano il volto che diventa giallo Fanta, lasciando il corpo colore Coca-Cola) retaggio di modelli distorti, importati e imposti; tutti in caccia dei chia (i soldi); gli yovo (i bianchi) che sono dei grotto (hanno il portafoglio pieno) e fanno gli ambiaceur (i viveur); le go (le ragazze) troppo spesso asheo (prostitute), i corpi velati nei pagne (pareo africano). 

L'intreccio è una corsa a perdifiato tra le von (strade) beninesi, una "tempesta perfetta" dove i problemi si susseguono senza tregua, quella che nel linguaggio locale si chiama una waxala.

Buona lettura!

[ Non sta al porco dire che l'ovile è sporco / Florent Couao-Zotti / 66thand2nd ]


8 ott 2021

Predatori: le dimensioni contano, talvolta.

Timothy Winegard

Qual'è il predatore più pericoloso per l'uomo? 
  • Forse il proverbiale lupo? 
  • La tigre di Mowgli? 
  • Lo squalo di Spielberg? 
Nessuno dei "soliti sospetti". 

- A proposito lo sapevate che l'ippopotamo uccide più del leone? Vatti a fidare della Disney con i suoi ippopotami in tutù - 

L'animale più pericoloso è piccolino ma infestante, si tratta di un insetto: la zanzara. Difficile a credersi? Eppure secondo quanto riportato dal prof. Timothy Winegard nel suo saggio dall'inequivocabile titolo: "Zanzare: Il più micidiale predatore della storia dell'umanità" si stima che questo piccolo sterminatore abbia ucciso circa 52 miliardi di persone, quasi metà di tutti gli esseri umani mai vissuti sulla Terra. Ad essere onesti la zanzara è "solo" il vettore di qualcosa di molto più piccolo ma terribilmente letale: i virus (il dengue, la febbre spaccaossa; il temuto Zika; la febbre gialla; le febbri malariche; etc.) ma il punto è che sono le zanzare a rendere così diffuse queste pericolose  malattie.

La buona notizia di questi primi giorni di ottobre 2021 è che finalmente si distribuirà in Africa un vaccino per la malaria in grado di schermare almeno in parte dal contagio, una cosa che salverà moltissime vite, soprattutto bambini. Si consideri che a oggi la malaria miete ancora circa 400mila vittime all'anno, oltre la metà bambini. Non siamo ancora alla "soluzione" in quanto il vaccino protegge  al 30%, richiede una complessa posologia di somministrazione in più richiami e non è facile da produrre. Per non parlare del fatto del potenziale impatto sulla giustizia sociale (nell'accesso al vaccino) in contesti con risorse così limitate. Ma è un inizio, comunque molto importante.


Il saggio di Winegard accompagna il lettore attraverso una rilettura della storia alla luce dell'impatto delle pandemie veicolate dalle zanzare, una storia che non è solo la vicenda del piccolo letale nemico dell'umanità ma è anche la storia della cattiva coscienza di quella parte minoritaria e ricca del pianeta che si disinteressa dei mali che affliggono il resto dei suoi confratelli, al di fuori della bolla protetta in cui vivono i portatori del privilegio. Già perché possiamo essere certi che gli sforzi per combattere la malaria sarebbero stati maggiori se fosse endemica nella ricca Europa o in Nord America, basti pensare ad esempio agli assurdi investimenti in parafarmaci e palliativi vari per i raffreddori stagionali (sicuramente non letali). Un'occasione in più per riflettere sulle responsabilità all'interno del villaggio globale. Ad esempio l'Aids è sostanzialmente curato in occidente mentre continua a dilagare nei paesi poveri, lo stesso si può dire della malaria e altre infettive praticamente ormai assenti nei paesi ricchi e ancora endemiche in vaste parti del pianeta. Una eccezione: il Covid-19, per la sua capacità di oltrepassare i confini (che lo rende pericoloso a livello planetario, senza distinguere tra ricchi e poveri) ha riscosso una risposta rapida e globale da parte dei paesi ricchi, e per fortuna con buoni risultati visti i molteplici vaccini ottenuti. Ma anche qui mentre la minoranza si appresta alla terza vaccinazione c'è una vasta maggioranza in balia del virus, attanagliata da mancanza di risorse, problemi organizzativi (anche nella filiera preventiva) per non parlare delle molte altre emergenze sanitarie e persino quella climatica.

[ Zanzare: Il più micidiale predatore della storia dell'umanità / Timothy Winegard  / HarperCollins ]


2 ago 2021

Dalla Cimmeria con furore (guerriero)

by John Buscema

Nella preistorica “era hyboriana”, un giovane guerriero proveniente dalla Cimmeria si fa strada in mondo bellicoso, popolato di demoni, esseri ultraterreni e potenti stregoni. Il suo nome è Conan, i tratti distintivi sono il fisico possente, la mente acuta, la resistenza, lo sprezzo del pericolo, la nobiltà d’animo (anche se non si fa scrupolo di uccidere e rubare, non ha un’attitudine criminale, è una sorta di anti eroe pericolosamente irascibile), la diffidenza verso la civiltà che lo porta a uno stile di vita vagabondo nonostante i successi in battaglia. Il barbaro Conan è pura energia, in lui l’azione precede qualsiasi altra cosa, è puro istinto ferino, insomma è l’arma perfetta, un autentico predatore.

Il creatore di questo iconico personaggio è Robert Ervin Howard (1906-1936) autore di alcuni cicli fantastici, il più celebre dei quali è appunto il corpus di 22 opere, tra romanzi e racconti, aventi come protagonista Conan il barbaro. Di fatto inventa un nuovo genere letterario al confine tra il romanzo di avventura e l’horror, nasce infatti quello che in inglese è indicato come fantasy sword and sorcer, ovvero il fantasy eroico. La figura del barbaro nerboruto, dai muscoli guizzanti, impegnato per lo più a salvare donzelle in abiti succinti, fracassando con indifferenza crani umani sul proprio cammino, è ormai un’immagine stereotipata, persino ridicola. Howard creò il modello originario e basta leggere le avventure di Conan per apprezzarne lo stile, inoltre insieme al personaggio creò un ampio e articolato mondo di fantasia, con tanto di storia e geografie proprie, in cui il pericolo è sempre in agguato e attraverso il quale Conan inanella avventure traboccanti di azione violenta

Robert Ervin Howard

Sebbene Howard avesse in gioventù irrobustito il proprio fisico praticando sport, questo è forse il solo elemento in comune con il suo personaggio più celebre. Conan è un vagabondo, impavido e bellicoso, l’azione fatta persona, spesso impegnato a salvare (e conoscere) belle ragazze. Howard era timido e insicuro, non superò mai i confini del Texas in cui era nato; viaggiò moltissimo ma solo nella fantasia delle sue opere. Nessuna relazione significativa, un rapporto strettissimo con la madre. Morirà tragicamente appena trentenne, suicida con un colpo di pistola in auto, preda della disperazione per le sorti della madre entrata in coma che lo seguirà, senza mai riprendersi, il giorno seguente.      

Howard è stato autore di circa cinquecento opere, tra cui ben cinque cicli fantastici distinti: Kull di Valusia, Conan, Solomon Kane, il Ciclo celtico, il ciclo di James Allison e Kirby Buckner; oltre che con il fantasy epico si cimentò anche con altri generi tra cui: storie di pirati, polizieschi, western, sport, esplorazione, horror, persino cappa e spada. Nel 1930 entrò in contatto con H.P. Lovecraft a cui aveva fatto le lodi per il racconto ”I topi nel muro”, questi ricambiò con l’apprezzamento per le storie di Solomon Kane; ne nacque una fitta corrispondenza che durò per il resto della vita di Howard. Howard apprezzava a tal punto l’immaginario del cosiddetto Ciclo di Chtulhu che scrisse ben cinque racconti originali correlati.       


Schwarzenegger
Anche se non arricchì il suo autore, il successo di Conan è stato planetario e prosegue tutt'ora. Molti gli scrittori che si sono cimentati nel proseguire le sue avventure con storie apocrife (talvolta basate su soggetti o abbozzi ritrovati tra le carte dell'autore dopo la sua morte) o ambientate nel medesimo universo letterario nell'era hyboriana.

Le trasposizioni a fumetti sono state numerose, tra le più iconiche segnaliamo  le tavole realizzate da John Buscema.  A livello cinematografico ben tre trasposizioni, nel primo film "Conan il barbaro" (1982) diretto da John Milius, il personaggio è interpretato da Arnold Schwarzenegger.


[ Conan il barbaro / Robert Ervin Howard  / Mondadori ]  


L'infundibulo cronosinclastico

Kurt Vonnegut 
(1922-2007) 

Il romanzo “Le sirene di Titano” pubblicato nel 1959 dall'americano Kurt Vonnegut ha l’impianto di una storia di fantascienza: in un possibile futuro il protagonista Winston Niles Rumford si materializza e smaterializza in modo ciclico insieme al suo cane, alternandosi tra la sua casa sul pianeta Terra e il pianeta Titano. Il fenomeno è causato dal fatto che durante un viaggio spaziale è rimasto intrappolato in quello che viene definito un “infundibulo cronosinclastico”, una sorta di singolarità quantistica, una curvatura spaziotemporale dove coesistono tutte le possibilità e dove il protagonista ha scoperto il vero significato della vita sulla Terra. La smaterializzazione attira  curiosi e tra gli spettatori Rumford sceglie Malachi Constant e gli racconta il suo futuro che per quanto strano e apparentemente improbabile accadrà inesorabile. Ecco quindi dipanarsi un’epopea dell’umanità che include viaggi nello spazio e guerre spaziali.   

Una girandola di personaggi e ambientazioni stravaganti dove niente è quello che sembra e si ride parecchio.

Rumford su Titano

Quindi di che parla il romanzo? Di astronavi? No, parla di teleologia. L’agire dell’uomo è vanità, inconsapevole pedina di un disegno altrui. 

Il significato della vita come la conosciamo? Vonnegut ha un risposta geniale: è la chiamata di soccorso di un viaggiatore in panne. A questo punto potrà sembrare strano ma fidatevi il libro è bellissimo, una feroce satira sociale antimilitarista, una satira sulla religione e sulla vana prosopopea dell’agire umano.  

E le sirene? Sono ben tre e vi aspettano su Titano.   

Buonissima lettura!


[Le sirene di Titano / Kurt Vonnegut / Bompiani ]


1 ago 2021

Ancora Lem

Stanislav Lem è ampiamente riconosciuto come uno dei grandi maestri della fantascienza moderna, al suo capolavoro "Solaris" abbiamo già dedicato un altro post, questa volta consideriamo il romanzo "L'invincibile" (pubblicato nel 1964), la storia di una sfortunata missione di soccorso.


La trama,  quasi un giallo, inizia con il risveglio, dopo mesi di sonno criogenico, dell'equipaggio di una grande astronave giunta in prossimità del pianeta sul quale tempo prima era atterrata un'altra astronave di cui non si hanno più contatti. La missione è scoprire cosa è accaduto e nell'eventualità prestare soccorso. Presto l'equipaggio farà un incontro inatteso, una forma di vita aliena, una linea evolutiva alternativa, "un’evoluzione inanimata, inorganica, apsichica". Poi le cose andranno di male in peggio.

Evidentemente il cinema ha saccheggiato a tal punto la narrativa di genere che è impossibile non avvertire un senso di déjà vu, basti pensare alla missione di salvataggio di Alien (il film  diretto da Ridley Scott nel 1979). 

Lem 1921-2006

Ma il punto di forza del libro è piuttosto nella riflessione di tipo esistenziale: cos'è la mente? esiste un'evoluzione non biologica? esiste un destino? Il libro è anche un invito al pacifismo: a che pro lottare? chi è il vero aggressore?

Il protagonista pur compiendo eroicamente il suo dovere di eseguire gli ordini, nel confrontarsi con la minaccia aliena problematizza la questione “Quanti di questi fenomeni incredibili, estranei alla comprensione umana, può nascondere il cosmo? Dobbiamo proprio andare ovunque, con la potenza distruttrice delle nostre navi, per ridurre in frantumi tutto ciò che non comprendiamo?” per poi concludere: “I colpevoli siamo noi, solo noi”. 

Da leggere, anche se non vi piacciono i racconti di astronavi, potreste ricredervi.


[ L'invincibile / Stanislav Lem / Sellerio ]




Short stories di fantascienza

F. Brown 1906-1972

La Sci-Fi o per dirla all'italiana, la  fantascienza, è un genere del '900 che mescola ipotesi più o meno plausibili degli esiti dell'evoluzione tecnologico-scientifica con elementi di fantasia. Quindi non solo astronavi, ma più in generale possibili futuri, talvolta presenti distopici. Tra i grandi del genere segnalo l'americano Fredric Brown e due gustosissime raccolte di racconti brevi o brevissimi, "Cosmolinea B-1" e "Cosmolinea B-2", pubblicate in Italia nei primi anni '80 ma scritte rispettivamente negli anni 1940-50 e 1950-70. 
Fredric Brown è noto al pubblico italiano per il celebre racconto "La sentinella" (contenuto in Cosmolinea B-1), una classica lettura scolastica che utilizza l'espediente dell'inversione per spiazzare il lettore e mostrare il Bias culturale che ci prescrive immancabilmente come "i buoni". Per chi non conoscesse il racconto, suggerisco di rimediare prontamente, si trova facilmente sul web in versione integrale. A proposito, il racconto "La sentinella" scritto da Brown nel 1954  ha un precedente illustre in un racconto breve, "L'estraneo" di Howard Phillips Lovecraft scritto nel 1921, nel quale è proposta la stessa torsione prospettica, sia pur all'interno di un'ambientazione tipicamente gotica.

I racconti di questi due volumi sono vari, spesso comici, quasi sempre brevissimi, facile quindi l'associazione mentale con Jack Ritchie (campione di miniature noir), c'è n'è per tutti i gusti.  Difficile fare una classifica, tra i miei preferiti sicuramente il racconto "Margherite" del 1954, leggendolo scoprirete che "Al contrario di quanto si ritiene comunemente, le margherite sono molto pettegole.".

Consigliatissimi!

[ Cosmolinea B-1; Cosmolinea B-2 / Fredric Brown  / Mondadori ]


Dinosauri

Museo di Storia Naturale di Londra

Il passato profondo ci parla attraverso i fossili, la scoperta di scheletri ciclopici testimonia un lontanissimo passato, molto prima dell’uomo, quando il pianeta brulicava di vita con una ricca varietà di specie viventi estintesi ormai da almeno 65 milioni di anni, dopo che avevano dominato le terre emerse per un periodo superiore ai 160 milioni di anni. Se si considera che l’uomo moderno si è sviluppato in Africa circa 200.000 anni fa e che persino i nostri progenitori più antichi come, ad esempio, l’australopiteco fecero la loro comparsa al massimo 2 milioni di anni fa, allora possiamo farci un’idea dell’enorme distanza che ci separa dai giganteschi antenati di Godzilla.    

La paleontologia, ovvero quella branca delle scienze naturali che studia gli esseri viventi vissuti nel passato geologico, può a prima vista apparire quieta e polverosa come i fossili che studia, persino noiosa quando invece è popolata di curiosi personaggi: avventurieri simili Indiana Jones, scienziati e viaggiatori, predoni e contrabbandieri di fossili.   

Homo diluvii testis

Il libro “Fossili fantastici e chi li ha trovati” ripercorre la storia della paleontologia attraverso 25 scoperte tra le più importanti. Un viaggio tra mostri colossali, sfide all’ultimo ritrovamento, geniali intuizioni e solenni cantonate. La scienza si sa procede per falsificazione e anche la paleontologia non fa eccezione.   Nel 1726 lo studioso svizzero Johan Scheuchzer studiò uno scheletro fossile e arrivò a battezzarlo addirittura “homo diluvii testis” (uomo testimone del diluvio), l’idea era che quello scheletro fosse appartenuto ad uno dei giganti (tramandati dalla tradizione) perito durante il biblico Diluvio. Oggi sappiamo invece che ciò che fu scambiato per il bacino e la colonna vertebrale di un umanoide altro tre metri è in realtà lo scheletro di una  salamandra gigante vissuta tra i 5 e i 20 milioni di anni fa. 

Il potenziale attrattivo di questi scheletri preistorici è stato ampiamente sfruttato e non solo dal cinema moderno. Già nel 1800 si organizzavano diorama e ricostruzioni con i dinosauri, la maggior parte delle quali oggi sappiamo essere grandemente erronee. Oggi sappiamo che i discendenti moderni più prossimi di questi mostri preistorici sono gli uccelli ma all’epoca li si scambiò erroneamente (comprensibilmente, considerato l’aspetto a prima vista) con lucertole giganti, di qui il nome "dinosauri" (etimologicamente: lucertola straordinaria) coniato nel 1842 dal paleontologo britannico Richard Owen il quale poi nel 1870 fondò il Museo di storia naturale di Londra.  

Nel 1800 la paleontologia incominciava a prendere piede, parallelamente si scoprivano intere civiltà perdute (nel 1840 la spedizione nello Yucatán degli esploratori John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood, che fece conoscere al mondo i resti della civiltà Maya), inoltre cresceva l’interesse per l'antico Egitto, spinto dalla riscoperta napoleonica pochi decenni prima. Poi c’era Darwin ("L'origine delle specie" è del 1859) e le scoperte di  fossili che si moltiplicavano, come lui stesso aveva pronosticato. Si scatenò persino quella che fu chiamata la "guerra degli ossi", che vide competere Edward Drinker Cope e Othniel Charles Marsh nella ricerca di sempre nuovi fossili per quasi 30 anni.  Anche sul piano dell'immaginario si consolidò persino un genere letterario, quello del “mondo perduto”, si pensi a  "Viaggio al centro della Terra" di Jules Verne che è del 1864, e ancora decenni dopo "Il mondo perduto" di Arthur Conan Doyle pubblicato nel 1912.    

 Donald R. Prothero

Anche questo libro di Donald R. Prothero, geologo e paleontologo  Contemporaneo americano, è pieno di avventure e colpi di scena, racconta di un passato fantastico e lontano, ma autentico, scientificamente fondato, che emerge dalle rocce, frutto del lavoro e della sapienza di brillanti scienziati e specialisti. 

Si legge come un romanzo di Verne ma è tutto vero, consigliatissimo!                  


[ Fossili fantastici e chi li ha trovati / Donald R. Prothero / Aboca ]


31 lug 2021

Microplastiche e isole di rifiuti

La plastica nei mari è ormai un problema globale, un'emergenza seconda solo al cambiamento climatico. A questa emergenza non a caso è dedicato un intero obiettivo dell’"Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile", precisamente l’obiettivo n° 14, "La vita sott'acqua - Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per lo sviluppo sostenibile”. 

Nel 2020 durante la pandemia, i lockdown imposti a più riprese nei paesi ad alta industrializzazione hanno mostrato in modo evidente le conseguenze dell'attività antropica: a Venezia l'acqua dei canali è tornata ad essere trasparente, gli avvistamenti di animali selvatici si sono fatti frequenti, talvolta persino nelle grandi città. Una sorta di rivincita della natura offesa. Ma è stato davvero così? Sicuramente la sospensione/riduzione di alcune attività altamente inquinanti (si pensi ai trasporti) ha reso visibile quale sia l'impatto a pieno regime, ma l'inquinamento visibile è solo la punta dell'iceberg. Il problema è gigantesco e richiede interventi urgenti e coordinati. Di questo argomento tratta il libro "Atlante mondiale della zuppa di plastica" curato dallo scienziato e attivista Michiel Roscam Abbing. 

La lettura del saggio causa un certo sgomento appena attenuato dall'allegra grafica colorata: i numeri parlano, anzi gridano! Stiamo avvelenando le acque del pianeta, no anzi, abbiamo già avvelenato gran parte dell'ecosistema e dei viventi che vi abitano, compresi noi stessi, la specie umana. Già perché quanto accade non è un cataclisma naturale ma la conseguenza dell'azione umana: la plastica è entrata nell'ecosistema, dilaga ovunque trasportata dalle acque e produce effetti nefasti. La plastica, frammentata e miniaturizzata, fin oltre la soglia del visibile umano, si trova ormai in ogni angolo del pianeta, anche a enormi distanze rispetto ai luoghi dove per la prima volta ha raggiunto un corso d'acqua. Insomma, un effetto globalizzato

Il mare Mediterraneo non è in buona salute, anche se come superficie equivale a meno del 1% della superficie dei mari nel mondo, come accumulo di rifiuti è al 6° posto. L’Italia è il secondo contributore di plastica nelle acque del Mediterraneo con 34mila tonnellate di rifiuti ogni anno, peggio solo l’Egitto con circa 85mila tonnellate annue. 

A livello planetario ogni anno entrano nei mari da 8 a 12 milioni di tonnellate di rifiuti, fatte le dovute equivalenze significa 380 Kg di rifiuti al secondo, un container da 28 tonnellate ogni minuto e mezzo. 

I rifiuti trasportati dalle correnti hanno formato dei giganteschi aggregati galleggianti, in massima parte plastica. Ci sono sette gigantesche isole di plastica dove si accumulano i rifiuti, la più grande la Great Pacific Garbage Patch, è composta da 3 milioni di tonnellate di rifiuti galleggianti, su una superficie di 700.000 km², quindi più grande della Francia, (secondo molte stime sarebbero persino più grandi). Beninteso, al crocevia delle correnti si può formare una distesa piuttosto grande e ben visibile di rifiuti galleggianti, ma "l'isola" di cui si parla (quella gigantesca, grande molti km²) è piuttosto una velenosa "zuppa di plastica”: il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) si riferisce infatti alla "garbage patch" come un vortice di rifiuti di plastica e di detriti frantumati in piccole particelle nell'oceano. 
La plastica galleggiante corrisponde appena al 1% del totale, il 94% della plastica affonda e il 5% approda sulle coste. Il pericolo maggiore viene dallmicroplastiche che non si vedono ma sono dappertutto, arrivano dai lavaggi dei capi sintetici, dal consumo degli pneumatici, dalla frammentazione delle plastiche più grandi; finiscono in acqua, percorrono km tra laghi e fiumi, fino al mare, poi divenute invisibili vengono inghiottite dai pesci, et voilà... noi ci cibiamo dei pesci.

Siamo ancora in tempo per rimediare? Probabilmente sì ed è una buona notizia. Ma occorre agire rapidamente e insieme. Istituzioni e governi possono e devono fare molto ma la migliore risorsa sta nell'iniziativa individuale, ogni contributo è importante. La consapevolezza è il primo requisito, la cultura, anche scientifica; poi l'azione, occorre agire sui propri comportamenti, sullo stile di vita, sui propri consumi. La parola d'ordine è sostenibilità. Nel libro sono raccolte alcune esperienze concrete e qualche buona pratica. 

Una lettura consigliata per migliorare la propria conoscenza e soprattutto per trovare spunti per agire e contribuire al cambiamento. A tutti noi: bonne chance! 

[Atlante mondiale della zuppa di plastica / Michiel Roscam Abbing / Edizioni Ambiente]


29 mag 2021

L’umanità e la salute del pianeta nell’Agenda 2030

Stefano Bocchi

Leggendo il saggio “L’ospite imperfetto” scritto dal professore Stefano Bocchi (ordinario di Agrononomia all’Università di Milano, curatore scientifico del Parco della biodiversità di Expo 2015, Presidente dell’Associazione Italiana di Agroecologia AIDA) si viene condotti alla scoperta di uno strano personaggio i cui comportamenti arroganti e ingenui, sicuramente inadeguati, portano a continui disastri con esiti autolesionisti. Incontriamo dunque una sorta di Ignatius J. Reilly, protagonista del celebre romanzo “Una banda di idioti” del compianto John Kennedy Toole (se non lo avete ancora fatto, leggetelo). Ci sarebbe da ridere se non fosse che la “banda di idioti” di cui si narra nel saggio di Bocchi sono i "sapiens", ovvero noi, la specie umana…

Infatti il libro ripercorre il cosiddetto Antropocene, quella piccolissima porzione di tempo recente (rispetto al tempo globale della vita sulla Terra) in cui la nostra specie ha esercitato la propria azione nei confronti delle altre specie, dell’ecosistema, financo del pianeta stesso, conseguendo unica tra tutti i viventi il dubbio primato di mettere a rischio la propria stessa sopravvivenza, insieme a molte altre forme di vita. Certo il pianeta può fare a meno di noi, come ha fatto a meno dei dinosauri, ma il punto è che i dinosauri il meteorite non lo hanno causato loro.

La chiave del disastro e anche della possibile salvezza  è con ogni probabilità nell’agricoltura e nella dieta. Il modo in cui coltiviamo e produciamo cibo impatta pesantemente sull’ecosistema, allo stesso modo il modello di consumo alimentare, la dieta, influisce pesantemente sulla sostenibilità o insostenibilità dei processi in corso, e non parliamo di milioni di anni e neppure di secoli ma di decenni, pochissimo tempo per mitigare gli effetti negativi già in corso, quanto al rimediare sarà una sfida.   

Il tono non è apocalittico anche se la sfida è grave e urgente; c’è luce in fondo al tunnel, a cominciare dall’Agenda 2030, una straordinaria impresa umana che coinvolge attivamente 193 nazioni. C’è molto da fare, occorre agire, ma come? Ancora una volta la parola chiave è “cultura”. Certamente le Istituzioni e la tecnologia (persino il mercato, quando responsabile) possono fare la loro parte ma la cosa più importante resta l’educazione allo sviluppo sostenibile. E’ una battaglia che dobbiamo e possiamo vincere, ma potremo farlo solo insieme, con consapevolezza che ci troviamo in un contesto interconnesso, dove la salute è una, quella di tutti, e non è possibile sacrificare una parte a vantaggio dell’altra. L’equilibrio è la chiave della sostenibilità. Gli ostacoli sono molti, dall’approccio riduzionista (rifiuto della complessità e delle interdipendenze dei fenomeni), da una eccessiva fiducia nella salvezza tecnologica (utopia tecnologica) o peggio dal “vanverismo ecologico” (il parlare “a vanvera” di ecologia, reiterando cliché culturali e alimentando false credenze). Non è solo una questione di tecnica e competenze ma anche, anzi soprattutto, di giustizia, di equità tra i popoli e le persone. Una possibile medicina si diceva è la cultura, perciò si può cominciare leggendo questo libro. Buona lettura.

[ L’ospite imperfetto / Stefano Bocchi / Carocci ]

27 mag 2021

Dalla pandemia all’utilitarismo buono





In questo anno e mezzo di pandemia non sono mancati i libri a riguardo che hanno affrontato la questione da molteplici prospettive, tra questi anche il saggio “Il quarto Shock, Come un virus ha cambiato il mondo” (edito nel maggio 2020) ad opera di Sebastiano Maffettone, docente di filosofia politica alla Luiss. 

Lo shock di cui il titolo sarebbe il quarto, preceduto da altrettanto grandi cambi di paradigma nella storia dell’umanità: 
  1. la perdita della centralità nell’universo (Copernico), 
  2. la teoria evoluzionista che mortifica la presunzione umana ricollocando la specie nell’alveo della casualità (Darwin), 
  3. la teoria dell’inconscio che sottrae al soggetto la propria centralità (Freud). 
In questo senso Maffettone argomenta come il Covid-19 possa considerarsi una ulteriore crisi del paradigma, una situazione foriera di pericoli ma anche di opportunità. Il libro procede agilmente argomentando sul tema dell’etica pubblica come prospettiva di sostenibilità (e giustizia) all’interno del perimetro del modello economico capitalista. Siamo nella prospettiva del filosofo Rawls, ovvero nell’orizzonte della giustizia distributiva. Il sistema non è da “smantellare” bensì da “riformare” mediando tra istanze di sviluppo e sollecitazioni etiche. 

La visione “utilitarista” sia pur ammorbidita informa il ragionamento. In un passo si discute delle conseguenze del lockdown confrontando gli svantaggi delle non chiusure (il progredire della malattia e l’aumentare dei morti) con gli svantaggi delle chiusure (le conseguenze del blocco dell’economia). Se da un lato le conseguenze del non contenimento della pandemia sono relativamente chiare e quantificabili, più arduo è stimare le conseguenze del blocco dell’economia, ma i danni ovviamente ci sono e sono potenzialmente grandi, ad esempio si argomenta come “il petrolio, a poche settimane dalla diffusione globale del virus, è sceso da 60 a 10 dollari al barile, che a questo prezzo non conviene estrarlo e così via, si capisce che una chiusura totale può voler dire anche fame, carestia e forse milioni di morti. è quello che potrebbe succedere in Nigeria e Venezuela non troppo in là.” 

Ma leggendo resta il dubbio che qualcosa non torni, il petrolio è già arrivato in passato a superare i 100 dollari al barile, e Nigeria e Venezuela esportavano anche prima della pandemia, eppure la popolazione non se ne giovava; basti pensare ai flussi migratori dalla Nigeria all’Europa, oppure al fatto che l’aspettativa di vita in quel paese già nel 2015 fosse al 177 posto nel mondo e soprattutto che nel 2018 la Nigeria fosse diventata il paese con il più alto numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema, cioè con meno di 1,90 dollari al giorno (1,60 euro) e tutto questo nonostante la Nigeria fosse e sia una tra le nazioni più ricche d’Africa. 
Se togliamo per un momento le lenti deformanti dell’accettazione del sistema economico capitalista come un fatto indiscutibile ecco allora che alcuni passaggi del ragionamento squadernato nel saggio appaiono quantomeno più critici. Allo stesso modo fa un po’ impressione sentire liquidare come “personaggi più fantasiosi” filosofi del calibro di Herbert Marcuse, colpevole di ritenere “la dimensione capitalista non compatibile con una decente qualità della vita”
Sebastiano Maffettone

Insomma qua e là i lettore potrà produrre delle legittime resistenze, ma non mancano spunti di interesse e sicuramente Maffettone non è un Chicago Boys, anzi si sforza di proporre per l’appunto una dimensione di etica pubblica che non sacrifichi completamente l’istanza etica al totem dello sviluppo economico. Nella parte conclusiva si affronta il tema della morte sottolineando come proprio la proiezione oltre sé stessi, non solo nella discendenza diretta, ma più in generale nell’umanità (e senza prospettive mistiche o religiose) possa costituire un elemento determinante per l’etica pubblica. 
Forse che l’ideologia tanto bistrattata rivendichi la sua parte? 
Ai lettori l’ardua sentenza.


[“Il quarto Shock, Come un virus ha cambiato il mondo” / Stefano Maffettone / Luiss University Press ]