29 mag 2021

L’umanità e la salute del pianeta nell’Agenda 2030

Stefano Bocchi

Leggendo il saggio “L’ospite imperfetto” scritto dal professore Stefano Bocchi (ordinario di Agrononomia all’Università di Milano, curatore scientifico del Parco della biodiversità di Expo 2015, Presidente dell’Associazione Italiana di Agroecologia AIDA) si viene condotti alla scoperta di uno strano personaggio i cui comportamenti arroganti e ingenui, sicuramente inadeguati, portano a continui disastri con esiti autolesionisti. Incontriamo dunque una sorta di Ignatius J. Reilly, protagonista del celebre romanzo “Una banda di idioti” del compianto John Kennedy Toole (se non lo avete ancora fatto, leggetelo). Ci sarebbe da ridere se non fosse che la “banda di idioti” di cui si narra nel saggio di Bocchi sono i "sapiens", ovvero noi, la specie umana…

Infatti il libro ripercorre il cosiddetto Antropocene, quella piccolissima porzione di tempo recente (rispetto al tempo globale della vita sulla Terra) in cui la nostra specie ha esercitato la propria azione nei confronti delle altre specie, dell’ecosistema, financo del pianeta stesso, conseguendo unica tra tutti i viventi il dubbio primato di mettere a rischio la propria stessa sopravvivenza, insieme a molte altre forme di vita. Certo il pianeta può fare a meno di noi, come ha fatto a meno dei dinosauri, ma il punto è che i dinosauri il meteorite non lo hanno causato loro.

La chiave del disastro e anche della possibile salvezza  è con ogni probabilità nell’agricoltura e nella dieta. Il modo in cui coltiviamo e produciamo cibo impatta pesantemente sull’ecosistema, allo stesso modo il modello di consumo alimentare, la dieta, influisce pesantemente sulla sostenibilità o insostenibilità dei processi in corso, e non parliamo di milioni di anni e neppure di secoli ma di decenni, pochissimo tempo per mitigare gli effetti negativi già in corso, quanto al rimediare sarà una sfida.   

Il tono non è apocalittico anche se la sfida è grave e urgente; c’è luce in fondo al tunnel, a cominciare dall’Agenda 2030, una straordinaria impresa umana che coinvolge attivamente 193 nazioni. C’è molto da fare, occorre agire, ma come? Ancora una volta la parola chiave è “cultura”. Certamente le Istituzioni e la tecnologia (persino il mercato, quando responsabile) possono fare la loro parte ma la cosa più importante resta l’educazione allo sviluppo sostenibile. E’ una battaglia che dobbiamo e possiamo vincere, ma potremo farlo solo insieme, con consapevolezza che ci troviamo in un contesto interconnesso, dove la salute è una, quella di tutti, e non è possibile sacrificare una parte a vantaggio dell’altra. L’equilibrio è la chiave della sostenibilità. Gli ostacoli sono molti, dall’approccio riduzionista (rifiuto della complessità e delle interdipendenze dei fenomeni), da una eccessiva fiducia nella salvezza tecnologica (utopia tecnologica) o peggio dal “vanverismo ecologico” (il parlare “a vanvera” di ecologia, reiterando cliché culturali e alimentando false credenze). Non è solo una questione di tecnica e competenze ma anche, anzi soprattutto, di giustizia, di equità tra i popoli e le persone. Una possibile medicina si diceva è la cultura, perciò si può cominciare leggendo questo libro. Buona lettura.

[ L’ospite imperfetto / Stefano Bocchi / Carocci ]

27 mag 2021

Dalla pandemia all’utilitarismo buono





In questo anno e mezzo di pandemia non sono mancati i libri a riguardo che hanno affrontato la questione da molteplici prospettive, tra questi anche il saggio “Il quarto Shock, Come un virus ha cambiato il mondo” (edito nel maggio 2020) ad opera di Sebastiano Maffettone, docente di filosofia politica alla Luiss. 

Lo shock di cui il titolo sarebbe il quarto, preceduto da altrettanto grandi cambi di paradigma nella storia dell’umanità: 
  1. la perdita della centralità nell’universo (Copernico), 
  2. la teoria evoluzionista che mortifica la presunzione umana ricollocando la specie nell’alveo della casualità (Darwin), 
  3. la teoria dell’inconscio che sottrae al soggetto la propria centralità (Freud). 
In questo senso Maffettone argomenta come il Covid-19 possa considerarsi una ulteriore crisi del paradigma, una situazione foriera di pericoli ma anche di opportunità. Il libro procede agilmente argomentando sul tema dell’etica pubblica come prospettiva di sostenibilità (e giustizia) all’interno del perimetro del modello economico capitalista. Siamo nella prospettiva del filosofo Rawls, ovvero nell’orizzonte della giustizia distributiva. Il sistema non è da “smantellare” bensì da “riformare” mediando tra istanze di sviluppo e sollecitazioni etiche. 

La visione “utilitarista” sia pur ammorbidita informa il ragionamento. In un passo si discute delle conseguenze del lockdown confrontando gli svantaggi delle non chiusure (il progredire della malattia e l’aumentare dei morti) con gli svantaggi delle chiusure (le conseguenze del blocco dell’economia). Se da un lato le conseguenze del non contenimento della pandemia sono relativamente chiare e quantificabili, più arduo è stimare le conseguenze del blocco dell’economia, ma i danni ovviamente ci sono e sono potenzialmente grandi, ad esempio si argomenta come “il petrolio, a poche settimane dalla diffusione globale del virus, è sceso da 60 a 10 dollari al barile, che a questo prezzo non conviene estrarlo e così via, si capisce che una chiusura totale può voler dire anche fame, carestia e forse milioni di morti. è quello che potrebbe succedere in Nigeria e Venezuela non troppo in là.” 

Ma leggendo resta il dubbio che qualcosa non torni, il petrolio è già arrivato in passato a superare i 100 dollari al barile, e Nigeria e Venezuela esportavano anche prima della pandemia, eppure la popolazione non se ne giovava; basti pensare ai flussi migratori dalla Nigeria all’Europa, oppure al fatto che l’aspettativa di vita in quel paese già nel 2015 fosse al 177 posto nel mondo e soprattutto che nel 2018 la Nigeria fosse diventata il paese con il più alto numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema, cioè con meno di 1,90 dollari al giorno (1,60 euro) e tutto questo nonostante la Nigeria fosse e sia una tra le nazioni più ricche d’Africa. 
Se togliamo per un momento le lenti deformanti dell’accettazione del sistema economico capitalista come un fatto indiscutibile ecco allora che alcuni passaggi del ragionamento squadernato nel saggio appaiono quantomeno più critici. Allo stesso modo fa un po’ impressione sentire liquidare come “personaggi più fantasiosi” filosofi del calibro di Herbert Marcuse, colpevole di ritenere “la dimensione capitalista non compatibile con una decente qualità della vita”
Sebastiano Maffettone

Insomma qua e là i lettore potrà produrre delle legittime resistenze, ma non mancano spunti di interesse e sicuramente Maffettone non è un Chicago Boys, anzi si sforza di proporre per l’appunto una dimensione di etica pubblica che non sacrifichi completamente l’istanza etica al totem dello sviluppo economico. Nella parte conclusiva si affronta il tema della morte sottolineando come proprio la proiezione oltre sé stessi, non solo nella discendenza diretta, ma più in generale nell’umanità (e senza prospettive mistiche o religiose) possa costituire un elemento determinante per l’etica pubblica. 
Forse che l’ideologia tanto bistrattata rivendichi la sua parte? 
Ai lettori l’ardua sentenza.


[“Il quarto Shock, Come un virus ha cambiato il mondo” / Stefano Maffettone / Luiss University Press ]