31 dic 2012

2013



Auguri di un 2013 di buone letture (e non solo quelle..)


- Felice anno nuovo 

                        - Happy new year 

- Bonne Année 

                         - Frohes neues Jahr

30 dic 2012

Jimi Hendrix, mio fratello - di Leon Hendrix con Adam Mitchell

Jimi Hendrix
Anno 2012, a dispetto dei Maya siamo ancora qui e se fosse vissuto Jimi Hendrix avrebbe festeggiato quest’anno i suoi 70 anni. Purtroppo invece sono passati 42 anni dalla sua precoce dipartita ma il mito resiste, anche quest’anno la rivista “Rolling Stone” lo incorona per l’ennesima volta leader incontrastato in vetta ai 100 migliori chitarristi di tutti i tempi. A quanto pare sembra esserci del vero nella battuta del film “The dreamers” di Bertolucci quando uno dei personaggi afferma: Io non credo in Dio, ma se ci credessi sarebbe un chitarrista nero e mancino.”.

In occasione di questo 70esimo genetliaco del formidabile mancino con la zazzera, la già vastissima bibliografia sul chitarrista americano si arricchisce dell’ennesimo libro-biografia: questa volta a raccontare l’ascesa al mito di Jimi è una persona che lo conosceva bene (anzi, in realtà neppure così tanto visto i lunghi periodi di separazione), è il fratello minore Leon. Il libro parla forse più di Leon e del padre, suo e di Jimi, che non di Jimi stesso; la maggior parte dei ricordi si concentra sull’infanzia e poi sui guai giudiziari di Leon e le sbornie del padre mentre Jimi diventava una star internazionale quasi senza che la sua famiglia lo sapesse. 
Infine il successo e il denaro che dal figliol prodigo irrompe nella squallida vita della famiglia di origine offrendo squarci di benessere e follie in perfetto stile sex, drugs & rock’n roll. Per quasi tutto il libro Leon chiama Jimi con il nome di Buster ovvero il nome che lo stesso Jimi aveva scelto per sé dopo avere visto Flash Gordon, oltre a questa del “nome”,  il libro offre altre chicche sui riferimenti biografici sparpagliati nei testi delle canzoni, specie le prime, piuttosto suggestive. 

Essendo un fan accanito ho letto più di un libro sul chitarrista di Seattle e per quanto impedito dalle mie scarse capacità mi affanno da anni nel tentativo di eseguire i suoi successi sulla mia stratocaster. Detto questo se pure non si tratta di una biografia particolarmente ricca e completa, il libro di Leon Hendrix, edito in Italia da Skira, offre senz’altro un punto di vista inedito e interessante che vale la lettura. 

Consigliato…

Su Hendrix sono in commercio altre biografie dettagliatissime, monumentali, e anche formidabili libri fotografici (prelibatezze per super fan), ma il libro di Leon ha il pregio di raccontare la genesi del mito visto al tempo stesso da lontano e da vicino: da vicino perché come fratello descrive l’ambiente familiare, l’infanzia; da lontano perché quando Jimi “sfonda”, Leon lo apprende dalla radio, quasi come se accadesse a uno sconosciuto. Non si tratta di pura apologia, Leon non tace le sue traversie personali (le condanne, la dipendenza da droghe) e neppure smorza le ombre famigliari (il padre alcolista, gli affidi, le liti legali per l’eredità).

Per gli interessati consiglio anche altri due agili libretti: il primo,  la raccolta dei testi delle sue canzoni e varie foto a cura della sorellina minore di Jimi, Janie Hendrix, con le traduzioni in italiano; il secondo, un tributo-omaggio dal significativo titolo “Jimi santo subito!”.

[ Jimi Hendrix mio fratello / Leon Hendrix / Skira ]
[ Jimi Hendrix. The lyrics / a cura di Janie Hendrix / Arcana ]
[ Jimi santo subito! / Gentile Enzo (e contributi vari) / Shake ]

20 dic 2012

La profezia dei Maya

Calendario Maya
Il 21 dicembre 2012,  h 6,00 ora italiana, secondo una presunta "interpretazione" del calendario Maya costituirebbe la data della fine del mondo, salvo solo un piccolo paesino dei Pirenei i cui abitanti hanno speculato alla grande sulla superstizione altrui.
Se la "profezia" si avvererà cogliamo l'occasione per salutare, se invece non si avvererà allora vi ri-proponiamo la lettura dell'ultima recensione a proposito del saggio "Quando la profezia non si avvera" di  Festinger, Riecken, Schachter edito in Italia da Il Mulino.
Se come crediamo la profezia fallirà pensiamo possa essere una buona lettura per comprendere gli irriducibili della superstizione, quelli che piuttosto che rinunciare a crederci ipotizzeranno una "cospirazione di poteri occulti", oppure offriranno una nuova interpretazione "più autentica" individuando una nuova data; insomma un utile strumento per capire perché i fan di Nostradamus & C. non cesseranno di credere indipendentemente dal numero di smentite delle presunte profezie.

Cogliamo l'occasione per augurare a tutti buone feste!

link: recensione del libro di Festinger, Riecken e Schachter.


25 ott 2012

Quando la profezia non si avvera - di Festinger, Riecken, Schachter

Leon Festinger (1919-1989)
Alla sua prima pubblicazione in Italia nel 2012 il saggio relaziona di uno studio empirico svolto presso una piccola comunità di persone che riunite intorno a un capo messianico (convinto di ricevere messaggi profetici da extraterrestri), conformarono il proprio comportamento relativamente alla profezia di una catastrofe apocalittica preparandosi ad un disastro che in realtà poi non ebbe luogo. Gli stessi autori (Leon Festinger /Stanford University/, tra i più importanti psicologi sociali, e i suoi esimi colleghi Henry W. Riecken /Minnesota University/ e Stanley Schachter /Columbia University/) e altri loro collaboratori hanno potuto infiltrarsi nella piccola comunità registrandone convinzioni e comportamenti fino alla smentita della profezia e anche dopo, in questo modo lo studio offre un prezioso punto di vista empirico sulle dinamiche psicologiche e sociali che motivano ferventi convinzioni e che ne consentono la sopravvivenza malgrado eventi clamorosamente contraddittori come appunto il non inverarsi di una precisa profezia.

La domanda è: “Cosa potrà convincerci che ciò in cui avevamo riposto (in buona fede) tanta certezza e fiducia non sia stato altro che un abbaglio?” La risposta trovata al termine di una faticosa ricerca empirica sembra non essere confortante, ovvero: “Nulla, nemmeno una smentita inequivocabile può far capitolare chi abbia fortemente investito nella propria convinzione”. Certo qualcuno che cambia idea c’è ma il punto è che altri, sebbene in buona fede, non lo fanno.

Vale la pena di ricordare il monito dell’aforisma di Nietzsche: “Io ho fatto questo  -dice la mia memoria - Io non posso aver fatto questo - dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine è la memoria ad arrendersi (cit. Al di là del bene e del male)”. In una qualche misura il meccanismo psicologico evidenziato nel saggio è simile, si tratta infatti di un eccesso di investimento di sé aderendo ad una ideologia. La convinzione si rafforza radicalizzandosi mano a mano che ci si taglia i ponti alle spalle mettendosi di fatto in una posizione di non ritorno. In questo caso alla smentita drastica corrisponde una reazione dapprima di disorientamento e poi, avendo troppo da perdere nel riconoscere l’errore, interviene salvifica un azione di rilettura dei fatti, un’interpretazione che preserva la correttezza della scelta (vissuta come senza ritorno) fatta in precedenza, da qui l’aggrapparsi a forme più o meno verosimili di “razionalizzazione” (ma potremmo dire di fabulazione) che consentano di rileggere i fatti in maniera alternativa e nuovamente coerente con la ideologia di cui sarebbero la clamorosa smentita. Questo processo di razionalizzazione dell’incongruo (la smentita a una profezia implicita in un’ideologia) e di ricreazione di realtà consente al credente non solo di superare lo smarrimento ma anzi di trarre maggior forza e fiducia dalla smentita stessa, tramutata in conferma e/o messa alla prova della propria fede. Non si tratta come per Nietzsche di orgoglio quanto piuttosto di un meccanismo di autodifesa, un buon esempio di come la lezione della psicanalisi (e in particolare la razionalizzazione e la verbalizzazione dei vissuti emotivi) chiarisca l’operato della mente e la sua forza, capace infatti di piegare la cruda realtà a propria utilità.

Sebbene risalga al lontano 1954, questo saggio è di sconcertante attualità per la chiarezza di sguardo che è in grado di portare su questi meccanismi comportamentali che ci riguardano tutti, viste la similitudine delle dinamiche anche in altri frangenti, come l’adesione a una ideologia politica o la difesa di principi giuridici astratti.

Il fatto che la piccola comunità di persone oggetto di questo studio credesse negli extraterrestri e facesse affidamento alle profezie e ai dettami di Marian Keech che riteneva di ricevere questi messaggi da entità superiori ed extraterrestri (e precisamente da tale Sananda del pianeta Clarion), non deve fare pensare che il meccanismo psicologico operante tra gli adepti riguardi soltanto persone mentalmente disturbate o comunque un esigua minoranza di persone. Al contrario il meccanismo psicologico è assolutamente generale e ve ne se può trovare traccia a vari livelli nell’intera sfera della vita sociale contemporanea. Basti pensare alla persistenza di “credenze” come la presunta nazionalità non americana di Obama, le teorie della cospirazione sull’11 settembre, le ormai classiche dietrologie sull’area 51 e Roswell, ma anche e persino più macroscopiche (e perciò più nascoste) come la fede incondizionata sulla bontà di una particolare forma di governo o di sistema economico (sia esso il comunismo della libertà, o il liberismo della crescita economica, laddove per entrambi potrebbero essere portate numerose evidenze empiriche contrarie).


E’ divertente vedere come l’ideologia della signora Keech evolva con le sue passioni del momento e come ad esempio alcuni cliché di ufologia e approssimativi  riferimenti religiosi (dedotti dagli incontri e dalle frequentazioni che aveva in determinati periodi) si inseriscano nelle comunicazioni ricevute da Sananda. Le trascrizioni dei messaggi (spesso frammentari e confusi) sono puntualmente oggetto di accurate e faticose esegesi frutto della collaborazione con altri ferventi adepti le cui nozioni personali e credulonerie condizionano l’interpretazione finale, fino a costruire di messaggio in messaggio (ma sopratutto di interpretazione in interpretazione) un cosmo variopinto di una certa complessità, retto da una sua logica interna e che comprendeva alcuni temi generali che riscontravano, all’epoca come oggi, un certo seguito in gruppi non così minoritari di persone (es. avvistamenti alieni, cospirazionismo, millenarismo, spiritismo, mito di Atlantide). E’ evidente la straordinaria potenza della “razionalizzazione” non solo nell’inglobare via via elementi esterni (ed estranei) ma anche nell’indirizzare e piegare i fatti incongrui o contraddittori appiattendoli sull’ideologia, di conseguenza proprio da tale evidenza possiamo e dobbiamo trarre indicazioni di prudenza nel compiere valutazioni e nel misurare la nostra intransigenza nel liquidare frettolosamente come folli quanti professano teorie stravaganti. Ancor più arduo diventa il tentativo di dialogo o confronto con chi sia preda di una tale “fede” laddove evidentemente il meccanismo della “razionalizzazione” tende a assimilare ogni contrarietà inserendola in una nuova coerenza vieppiù impermeabile ad ogni critica compresa la chiamata in causa di evidenze contrarie.


Nel caso di Marian Keech si tratta di una persona sinceramente convinta della autenticità delle sue “comunicazioni”, ma il meccanismo attraverso il quale gli adepti agglutinano intorno a lei, alimentando e rafforzando l’ideologia di cui diventano essi stessi elementi di conferma, chiarisce molto bene quanto pericoloso possa essere un tale meccanismo psico-sociale se utilizzato in chiave di profitto da persone manipolatrici e senza scrupoli di cui alcune cosiddette “sette” sono un triste esempio decisamente attuale e preoccupante (viste anche le dimensioni globali di alcune di esse). Lo stesso populismo, come anche il qualunquismo, utilizzano almeno in parte leve molto simili per ottenere un largo consenso che può diventare pericolosissimo proprio perché produce “seguaci” incapaci di autocritica e impermeabili ad ogni evidenza contraria, un possibile e temibile prologo di fascismo e altri totalitarismi.

Una lettura davvero consigliata che offre molti spunti di riflessione.

Vale la pena di notare che laddove il saggio ben evidenzia la potenza e la pervasività del meccanismo della “razionalizzazione” apre le porte ad una considerazione critica che può a buon diritto ribaltarsi sull’intera teoria freudiana laddove essa stessa può senz’altro apparire come una costruzione teorica che si avvale strutturalmente della funzione “razionalizzatrice” per sussumere in sè qualsiasi deviazione e diventare così tautologicamente omnicomprensiva e autodimostrativa. In ciò sta forse la grandezza e il limite della psicoanalisi come pretesa di descrivere  meccanismi di cui è essa stessa contemporaneamente soggetto e oggetto. Ciò che conta, al di là del valore di verità (probabilmente inattingibile) è che questo approccio può fornire strumenti interpretativi e quindi di azione in grado di incidere sul reale, smascherando almeno in parte le fabulazioni che lo pervadono. Se poi questo reale infine raggiunto, sia o meno soltanto una ulteriore e più forte fabulazione offerta dalla teoria freudiana, non è dato sapere, il che non lo rende meno utile.

[ Quando la profezia non si avvera / Festinger, Riecken, Schachter / Il Mulino ]

24 set 2012

La catastròfa - di Paolo Di Stefano


(8 agosto 1956) l'incendio del pozzo Bois-du-Cazier
Un racconto a più voci, mantenute anche nello stile, il più possibile aderenti allo spirito (al pathos e all’innocenza) delle testimonianze dirette raccolte all’autore di questo volume dedicato alla tragedia mineraria di Marcinelle. Nel libro viene ricostruita la vicenda dell’incidente in miniera avvenuto nel lontano 8 agosto 1956, in Belgio; fu una strage: dei 274 lavoratori che si erano calati nelle gallerie quella mattina pochissimi fecero ritorno alla superficie, 262 morirono e tra questi 136 erano immigrati italiani. Fu la prima grande disgrazia mineraria moderna, purtroppo non è stata l’ultima; le cause (per quello che emerge dalle testimonianze e dagli atti del processo che ne seguì) sono ancora una volta da ricercare nello sprezzo per la vita altrui (specie degli immigrati poveri), nell’avidità di pochi e nella rincorsa al profitto ad ogni costo. Un carrello si incastrò nell’ascensore danneggiando una conduttura d’olio posata acanto alle condotte elettriche, di qui l’incendio, fiamme e fumo che riempirono le gallerie senza lasciare scampo a quanti vi si trovavano dentro. Soccorsi che partono a rilento, niente estintori, niente procedure di evacuazione, niente pozzi alternativi da cui uscire: una trappola mortale 1 km sotto la superficie.  La sicurezza sul lavoro nella miniera di Marcinelle era un optional indesiderato in quel lontano (ma neppure tanto) 1956; purtroppo il triste record di morti sul lavoro dell’Italia 2012 testimonia che resta ancora molto da fare anche nel nostro paese.

Tra le varie voci che compongono la ricostruzione degli eventi trovano spazio le memorie dei sopravvissuti, le testimonianze in tribunale, il dolore dei parenti, e lentamente ma inesorabilmente il quadro inizialmente confuso, come il fumo di quel giorno maledetto, si fa progressivamente più chiaro, anzi alcuni accenni aprono spiragli a ipotesi inquietanti ma crudelmente in linea, non solo con i fatti, ma anche con il generale atteggiamento che le autorità Belga e, molto più colpevolmente, le autorità italiane tennero sulla questione al momento dell’incidente. Incredibilmente ancora oggi sembra preferirsi dimenticare e omettere piuttosto che confrontarsi con la cattiva coscienza di due nazioni. 

Un braccio della miniera di Marcinelle
Nel libro emerge con chiarezza la situazione di quasi schiavitù accordata ai minatori, specie se immigrati (gli italiani), il tutto con il plauso del governo italiano che siglò un particolare accordo con il Belgio che prevedeva tra le altre cose una sorta di vendita, per minimo un lustro, di manodopera fresca, vigorosa e sottopagata in cambio di una contropartita in carbone per lo stato italiano in funzione della produzione della miniera. Non è difficile immaginare come i troppi occhi tenuti chiusi sulle condizioni di lavoro dei nostri compatrioti spinsero poi quel governo (e molti di quelli che lo seguirono) a scegliere il silenzio sulla questione, basti pensare che nessun presidente o ministro italiano si recò sul posto ai tempi della tragedia, nonostante l’ingente contributo di sangue  dei lavoratori immigrati italiani. 
Il libro testimonia il povero stile di vita dei minatori, le inaudite carenze in materia di sicurezza, evidenzia la parzialità dell’inchiesta e l’inerzia con cui i colpevoli furono lasciati senza nome o senza punizione. 
La descrizione delle condizioni di lavoro e di vita dei minatori sono, di per sé stesse, motivo di indignazione e compassione, un sentimento quest’ultimo che è ben difficile accordare a quegli ingegneri e periti della miniera che, per sottrarsi a pesanti responsabilità, durante il processo (temerariamente e impunemente) sostennero l’insostenibile: come il non avere mai saputo che l’olio brucia, o che l’assenza di estintori non era pregiudizio alla sicurezza. 

PaoloDi Stefano
Molto tempo è passato ma forse non abbastanza, sono infatti recenti (estate 2012) le polemiche insorte tra Italia e Belgio proprio a seguito di questo libro. Il museo della miniera ha ritenuto non includerlo tra le sue disponibilità, contestandone il contenuto (ma forse piuttosto temendo i dubbi che avrebbero potuto sorgere nei lettori) e preferendo invece attenersi alle versione ufficiale del 1956: una disgrazia inevitabile. Ogni altra possibile verità deve rimanere taciuta, con buona pace del paziente lavoro di documentazione dell’autore di questo libro, il giornalista e inviato del Corriere della Sera Paolo di Stefano, che ha polemicamente replicato alla decisione del Museo dalle pagine del suo giornale.

Per non dimenticare.

[ La catastròfa / Paolo Di Stefano / Sellerio Editore ]

20 set 2012

Penultimo nome di battaglia - di Raùl Argemí

 Raùl Argemí 
Un uomo si risveglia in ospedale ferito, confuso, al suo fianco un compagno di sventura sfigurato dalle fiamme, messo peggio di lui non potrà aiutarlo a ricordare.

E’ l’inizio di un giallo sorprendente ai limite del genere, che mescola elementi di denuncia degli orrori del regime Argentino a riflessioni sulle radici della malvagità e sulle dinamiche del comportamento criminale

Il protagonista ricorda inizialmente solo di un incidente d’auto e di essere un giornalista, uno che non ha mai fatto carriera e che forse finalmente può cogliere la grande occasione: il moribondo a fianco del letto in cui è immobilizzato è forse un temuto ricercato psicopatico e trasformista, tal “Cacho” detto anche il camaleonte per la sua abilità nell’assumere molteplici identità. 
La paralisi che gli blocca gli arti e i sedativi che lo costringono a ripetuti crolli nell’incoscienza non lo aiutano, ma è l’occasione della vita e intende coglierla: lentamente i vari pezzi della storia carpita al moribondo, assieme a brandelli di conversazioni dei paramedici e del personale di polizia venuto in visita all’ustionato di cui è impossibile accertare l’identità, incominciano a dipanare una storia con qualche coerenza, portando luce dove era ombra, fino al colpo di scena finale.

L’autore del romanzo è l’argentino Raùl Argemí, imprigionato dal regime nel ’74 per dieci anni, ha lavorato come giornalista, poi nel 1999 è espatriato in Spagna dedicandosi alla scrittura. Nel 2005 ha vinto con questo il libro il premio Dashiell Hammett, meritatissimo.

Il libro è molto più di un giallo: le oscillazioni dello stato di coscienza del protagonista che è anche il narratore della storia, l’opacità della memoria, la psicologia della malvagità; in breve un libro da leggere anche se i gialli proprio non vi piacciono, non ve ne pentirete.

[ Penultimo nome di battaglia / Raùl Argemí / La Nuova Frontiera ]

17 set 2012

Ambienti animali e ambienti umani - di Jakob von Uexküll

Uexküll (1864-1944)

Un libro bellissimo, bisogna dirlo subito, di facile lettura e dalle grandi suggestioni. Non si tratta di narrativa ma di scienza, questo saggio del 1933 è opera dell’estone Jackob von Uexküll, biologo, padre dell’etologia moderna. 

Solo apparentemente ostico, nel saggio si parla del comportamento di zecche, ricci di mare, patelle, galline, meduse, api, mosche, e altro ancora. Il sottotitolo è solo una delle chiavi di questa meraviglia: “Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili”. 

Si apprende infatti come si comportano animali molto piccoli e si scoprono molti aneddoti curiosi ma il punto focale è quanto queste osservazioni sul mondo animale possono incidere sulla comprensione dell’uomo. Non si tratta qui di fare incongrue analogie uomo animale quanto piuttosto approfondire alcuni concetti chiave quali ambiente, territorio, dimora, tonalità emotiva, etc. si tratta di termini che nel saggio servono a predisporre dispositivi interpretativi per la definizione dello spazio soggettivo, dei meccanismi di relazione, della magia dell’istinto, delle peculiarità umane. 

Quanti avessero reminiscenze dei concetti chiave kantiani (le categorie ad esempio) ne leggeranno il riverbero nelle elucubrazioni e nelle osservazioni empiriche di Uexküll, quanto invece ai concetti di mondo e ambiente è evidente l’influenza dell’etologo sulla terminologia di Heidegger
Leggendo questo breve saggio ci si immerge nel meraviglioso mondo della natura e se ne esce con qualche risposta, molte curiosità e buoni spunti di riflessione profonda sui massimi sistemi, del resto non è un caso se l’influenza dei concetti qui esposti sia stata tanto ampia non solo nel campo dell’etologia (Konrad Lorenz) ma anche nella filosofia (Heidegger, Cassirer), nella psicologia, nella neurofisologia, e persino nella poesia.  

Uexküll fu strumentalizzato dal regime nazista (che come tutti i regimi cercò di fare propri tutti i simboli del successo e della grandezza, salvo poi distorcerli e piegarli a mero opportunismo propagandistico), alcuni concetti sviluppati nei suoi studi si prestavano a derive e forzature in senso razzista e millenarista.
Sebbene lo stesso Uexküll avesse inizialmente salutato il nazismo come possibilità di rilancio del popolo tedesco, tuttavia non ha mai aderito al partito e anzi è stato presto fatto oggetto di sospetto ed emarginazione per le  sue idee non allineate e giudicate pericolose. 
Forse è proprio in questa scomoda eredità che si trova la spiegazione del fatto che questo libro bellissimo abbia dovuto attendere 40 anni per essere finalmente ripubblicato nel 2010. 

L’edizione di Quodlibet a cura di Marco Mazzeo è un vero tesoro: la nuova traduzione ha rimesso le cose a posto dal punto di vista linguistico espungendo la retorica da propaganda bellica che inflazionava la prima traduzione di termini quali ad esempio “camerata” e “schiavitù” ora riportati ai più neutri “partner” (nel senso di compagno scelto da alcuni uccelli) e “cattività” (riferito alle talpe studiate in ambiente protetto), anche il titolo che pure nell’originale tedesco suona come un cinegiornale “Incursioni tra gli ambienti animali e umani” è stato riportato al più modesto “passeggiata”. 

Il libro è corredato di numerose tavole realizzate da Georg Krizat che contribuiscono in modo determinante alla chiarezza delle spiegazioni e ne fanno a buon diritto un importante coautore del saggio.

Una lettura consigliatissima accessibile a tutti, che vi farà molto divertire e sopratutto pensare. 

[ Ambienti animali e ambienti umani / Jakob von Uexküll / Quodlibet ]

13 set 2012

Cantatrix sopranica L. e altri scritti scientifici - di di Georges Perec

Georges Perec (1936-1982)
Leggere questo libro è un autentico divertimento, nel volume sono raccolti alcuni originalissimi scritti di Perec, trattasi infatti di saggi scientifici rigorosamente di fantasia ma dalla elaborata falsificazione: viene imitato lo stile, l’impostazione degli scritti di genere e non mancano note e apparati bibliografici, squisitamente inventati.

Come in “Finzioni” di Borges, “Viaggio in Garbagnana” di Michaux e"Esercizi di stile" di Queneau, il piacere è tutto nello stile e nel linguaggio e ovviamente nella sfolgorante fantasia dell’autore. 
Perec gioca con le parole introducendo giochi linguistici e scherzosi omofoni (il primo saggio è scritto in inglese e la pronuncia di molte delle note accluse al testo, suona come altre parole francesi il cui significato è in tema con l’argomento, spesso irriverente). 

Per apprezzare al meglio i giochi di parole, le omofonie francesi/inglesi e comprendere gli altri riferimenti legati alla cultura francese sono senz’altro d’aiuto le note e la breve appendice  a cura di Roberta Delbono che impreziosisce questa edizione per Bollati Boringhieri.

Parodie d’autore che sono autentici esercizi di stile di un riconosciuto campione del genere.

Una conoscenza sufficiente della lingua inglese e francese potrà offrire al lettore qualche witz in più, ma anche in traduzione italiana è godibilissimo.

Da non perdere.

[ Cantatrix sopranica L. e altri scritti scientifici / Georges Perec / Bollati Boringhieri ]

10 set 2012

Dispositivi totalizzanti nelle grandi aziende della distribuzione

Incatenate alle casse...
Molti ricorderanno il caso di una cassiera di una nota catena di supermarket a cui, malgrado le ripetute richieste di potere andare in bagno, era stato comunque impedito di allontanarsi dalla cassa: fece qualche breve rumore sui media poi nulla più, eppure si trattava e si tratta della classica punta dell’iceberg che riguarda l’intero settore della grande distribuzione, un particolare settore composto di grandi aziende che a un certo punto (alcuni lustri fa, in piena fase post ideologica) hanno dato il via a una inequivocabile strategia di elusione ed erosione dei diritti sindacali mediante tattiche differenziate, intimidazioni, violazioni, soprusi, ricatti sull’occupazione, ma anche e sopratutto l’insediamento di un codice di comportamento non scritto rispetto al quale sono esercitate enormi pressioni sui dipendenti, chi è più realista del re sopravvive, se invece resiste è destinato a capitolare.
In questo agile saggio si ripercorrono le testimonianze rese sul tema da lavoratori/lavoratrici ed ex lavoratori/lavoratrici italiane del settore. 

Questo studio del 2002 esplora un fenomeno preoccupante tanto più illuminante oggi a dieci anni di distanza, per l’ulteriore radicalizzazione delle pressioni subite dai lavoratori, l’emergenza del precariato e l’esplosione della disoccupazione. 
Chi ha un lavoro se lo tiene ben stretto e sembra non esserci fine ai sacrifici e ai soprusi cui la maggior parte è disposta a piegarsi, tentando di resistere, al limite delle proprie capacità. 

In qualche modo emerge dalle testimonianze il tema della scarsa consapevolezza del proprio peso, come massa, della classe lavoratrice ormai tristemente ridotta da gruppo a semplice insieme di unità, moltitudini di individui soli e non solidali, repressi e timorati, tenacemente attaccati alle minime concessioni che dovrebbero essere semmai minima parte di diritti incontestabili. 
La disunità tra i lavoratori, l’individualismo, la paura, la tendenza ad adattarsi, a piegarsi al limite della sopportazione, per sopravvivere; e per altro verso, per una parte di essi, il cinismo, la spregiudicatezza, la tendenza all’abuso, alla delazione, alla prevaricazione, al profitto a spese altrui, etc., solo per fare un giorno forse parte dell’élite (termine qualitativamente incongruo) aziendale;  tutto questo non è una conseguenza dei tempi in cui viviamo, non è la crisi finanziaria (del resto lo studio risale al 2002), e neppure la crescente disoccupazione che crea le condizioni di questa situazione, semmai le aggrava perché toglie speranze e prospettive aprendo una breccia che l’azienda saprà cogliere per elevare le pretese e ridurre il contraccambio, a tutti i livelli. 

L’azienda totale del titolo è il risultato dei tratti più comuni emersi dalle testimonianze, è il complesso dei dispositivi totalizzanti  che sono generalmente messi in atto nel settore della grande distribuzione come mezzo finalizzato alla creazione di un climax, anzi di un vissuto emozionale nei lavoratori, che non solo li renda docili a  richieste sempre crescenti a fronte di nulla (straordinari, turni, orari flessibili, mansioni variabili al ribasso; il tutto senza preavviso e senza contrappesi economici o d’altra natura).

Analogie con i regimi carcerari
Il termine “totale” indica la vocazione “totalitaria” delle dinamiche aziendali che inglobano e tendono a fare diventare il momento del lavoro la sola cosa che conta, tutto il resto, personalità, famiglia, amici e relazioni, persino sogni e aspirazioni devono sottomettersi in una sorta di impossibile amor fati “ad aziendam”. Qualunque sacrificio è semplicemente “dovuto”, ma non è neppure il prezzo di un futuro migliore, semmai è l’estremo tentativo di difesa dallo spettro di un ulteriore peggioramento della qualità di vita. L’azienda (“totale” appunto) assorbe ogni disponibilità ed è la sola priorità concessa. Le analogie che purtroppo emergono in questo studio tra alcuni dei tratti totalizzanti di un regime autoritario e di un ambiente costrittivo (sia esso un regime politico autoritario, una prigione o un manicomio) sono tristemente numerose e calzanti. Persino i disturbi fisici e psichici che ne conseguono sono i medesimi.

Lo studio non offre ricette né soluzioni, lo si può piuttosto considerare un contributo alla comprensione di una situazione di fatto, rispetto alla quale non si può restare indifferenti. 
Il lettore apprezzerà l’apparato di note e i vari riferimenti filosofici (i “non luoghi” di Augé), storici (le stravolte dinamiche sociali nei campi di prigionia), scientifici (il celebre esperimento di Stanford, condotto da Zimbardo) e molti altri spunti davvero interessanti.

Una lettura non solo interessante ma anche utile: dopo sarà più facile riconoscere le dinamiche totalizzanti e coercitive che ormai imperversano a tutti i livelli (e non solo nelle aziende), sottovalutate o peggio accolte con fatalismo. 
Un mondo più umano è possibile, è bene ricordarlo, ma non è dato naturalmente. 
Editore
La vigilanza e la conoscenza sono senz’altro la migliore forma di resistenza e persino di lotta.

Da un piccolo editore, un piccolo-grande libro, denso di spunti interessanti.

Consigliatissimo

  
[ L’azienda totale / a cura di R. Curcio / Sensibili alle foglie ]

6 set 2012

Cloaca - di Henri-Frédéric Blanc

Henri-Frédéric Blanc
Divertente, esuberante, corrosivo, le pagine scorrono come un’auto in corsa.

La cloaca del titolo è la destinazione del viaggio verso l’Italia di un improbabile trio di francesi: una giovane coppia che ottiene un passaggio in autostop su una rombante Jaguar. Lei bella, ma ignorante e superficiale; il proprietario della Jaguar, ricco, cinico, marpione, che cerca di sedurre l’ochetta; l’altro, il fidanzato della bella è povero di liquidi ma ricchissimo di carica polemica, un teorico del dolce far nulla come forza di resistenza alla corruzione del sistema dei consumi.
La destinazione finale è Roma dove la bella spera di incontrare il Papa, insperabilmente anche la Jaguar è diretta nella stessa città, il regista televisivo che la conduce vuole vedere la location della sua prossima opera, le fogne della Roma antica appunto. Una sorta di presagio non proprio profumato. 

Un’altra cloaca ben più ripugnante di lì a poco esonderà: lo squattrinato partigiano della cultura contro l’omologazione e gli inganni della modernità, ingaggerà presto una lotta polemica con l’ospite motorizzato. La gelosia fomenta lo scontro ed è guerra di visioni del mondo, il cinismo accumulatore del ricco contro lo snobistico disprezzo del povero. In mezzo la bella imbelle. Intanto la strada scivola sotto le ruote per chilometri e la convivenza forzata in piccoli spazi accentua le frizioni. 

Tra osservazioni sui massimi sistemi, qualunquismi e critiche feroci tanto del sistema che dei suoi critici, l’autore porta a spasso il lettore così come fa con i suoi personaggi, chilometri su chilometri, pagine su pagine, intrise di ilare e irriverente ironia.

Colpo di scena finale e poi un cambio di piano metalinguistico: un altro narratore, dal lontano Tibet viene in Francia per incontrare l’autore del romanzo, che considera un genio, infine l’incontro che sfuma in una confusione di piani di realtà, chi è l’autore del testo, chi sogna chi? 
Finale autoironico all’altezza del divertissement polemista che lo precede.

Lettura consigliata.

[ Cloaca / Henri-Frédéric Blanc / CartaCanta ]

9 ago 2012

Il risveglio della storia - di Alain Badiou

Alain Badiou - filosofo francese (nato nel 1937)
In questo breve, provocatorio ma ficcante saggio, il filosofo francese Alain Badiou prende slancio dai fatti delle rivolte della cosiddetta primavera araba per assestare un duro colpo all’imperante modello capitalista il quale ormai in declino (vedi crisi finanziaria mondiale) sembra essere infine giunto al punto di svolta del proprio ciclo storico, una rivincita per Marx le cui previsioni mai come in questo momento sembrano essere infine giunte alla maturità e inveramento. Il mercato globale, le democrazie occidentali come travestimento degli interessi del capitale (di fatto non perseguono l’uguaglianza ma incentivano la divisione tra i pochi sempre più ricchi e i tanti sempre più poveri, in nome della difesa del mercato e dello stile di vita - ma di chi se la maggior parte ne è esclusa?) l’imperialismo (le varie esportazioni di democrazia presso i siti delle riserve petrolifere o altre riserve di interesse economico), etc.

In questi tempi bui in cui pressati dalla crisi finanziaria, dal vacillare del potere costituito delle oligarchie del capitale, dove le parole d’ordine sono tagliare le zavorre per salvare il mercato e con esso lo stile di vita occidentale, resta da capire se i sacrifici a cui la maggior parte della popolazione inerme e sfiduciata si sottomette non siano piuttosto l’ultimo passo vero la restaurazione, ovvero la distruzione di tutti quei principi, diritti e valori di salvaguardia delle persone che la lunga parabola del socialismo/comunismo fino ai suoi ultimi fuochi negli anni 60/70 avevano conquistato a  caro prezzo di sangue e battaglie.

Mai come ora infatti l’intero insieme di queste conquiste sociali è sotto scacco, scardinato pezzo a pezzo, derubricato a inutile zavorra (tagli allo stato sociale, libertà di licenziamento, tagli alla sanità, deregulation per le aziende, detassazione sui capitali, etc.) dai vari governi europei e non solo, tutti intenti a preservare il contenitore prescindendo dalla tutela del contenuto. 
E’ come se si volesse salvare la casa al prezzo di decimarne gli abitanti, non sarebbe dunque ora di mettere in dubbio se la casa stessa meriti di essere salvata e non sia piuttosto utile ripensare ad un altro contenitore? In altre parole il modello capitalista/imperialista che non è mai stato così libero da lacci e lacciuoli e che imperversa su dimensione planetaria mostra ora il proprio momento di crisi; il mondo stesso globalizzato sembra non offrire più quegli spazi esterni di espansione (una sorta di imperialismo neocoloniale del capitale) costringendo il sistema a riversare la propria aggressività competitiva la proprio interno, ovvero sugli stessi cittadini degli stati che lo propugnano. 

In questo senso Badiou legge nelle rivolte della primavera araba una speranza e un’occasione di cambiamento, il punto di svolta di un ciclo che potrebbe finalmente innescare un  nuovo percorso, un'altra direzione della storia. Diversamente dalle rivolte delle banlieue parigine o delle periferie londinesi (ma anche dei fatti di Sarno in Italia), la primavera araba mostra i segni di una rivolta che nata spontaneamente da episodi specifici è evoluta in forme diverse fino a costituire un evento di portata storica che se riuscirà a sottrarsi all’inganno elettorale teso dall’occidente potrà forse evolvere in una nuova direzione tracciando un nuovo corso della storia.

Rivincita di Marx... (!?)
Badiou analizza in profondità le dinamiche delle ribellioni e indica gli elementi che possono identificare il passaggio da un semplice evento passeggero a un momento di svolta storico: le rivolte in nord africa hanno molte di queste caratteristiche.  Diversamente dalla vecchia Europa (vedi movimento degli indignados) i ribelli non sentono il bisogno di riunirsi intorno a slogan che puntino a riformare il sistema, il sistema è diventato l’altro, semmai si pongono essi stessi come la verità del proprio popolo, di il cui vecchio regime non è più rappresentazione. 

Molto interessante anche l’analisi sul concetto di verità e il fatto che il potere catalizzatore e performativo di eventi di ribellione che coagulano in forme dalle caratteristiche precise, e che riescono a diventare espressione di una nazione e di un popolo intero malgrado siano inevitabilmente espressione di una ristretta minoranza (come la storia insegna per esempio nelle elezioni post ‘68 francese che videro la vittoria elettorale dei conservatori).

Dopo anni di restaurazione post istanze socialiste e comuniste, la storia sembra infine ora aprirsi ad una fase nuova, Badiou la chiama “tempo delle rivolte”, lo stesso timore che le sclerotizzate oligarchie del capitale mostrano verso questi avvenimenti è il migliore segnale della grande opportunità che si offre all’umanità intera, un nuovo ciclo storico che possa porre le basi di un nuovo modello di vita all’insegna della giustizia, uguaglianza e universalità. 

L’apertura di questa opportunità è un fatto storico e insieme un momento del pensiero giacché nessun entusiasmo per quanto infuocato può tramutarsi in sistema se non agglutinando intorno ad un Idea che possa declinare un vasto scenario programmatico conservando e insieme mediando le inevitabili contraddizioni e differenze che un evento di rivolta porta con sè.

Per Badiou, è quasi superfluo esplicitarlo, quest’Idea potrebbe essere il comunismo, rivisitato e alimentato da quanto l’esperienza delle rivolte può insegnare.

Il saggio si chiude più che con un auspicio, con un pronostico, ciò cui possiamo guardare con speranza è il risveglio della storia; Badiou conclude con queste parole: “è sulle sue conseguenze razionali che l’Idea deve investire. Questo va da sè. Per i risultati vedremo.”.

[Il risveglio della storia / Alain Badiou / Ponte alle grazie]

4 ago 2012

Avevo 12 anni, ho preso la mia bici e sono partita per andare a scuola... di Sabine Dardenne

Sabine Dardenne nel 2004
quando testimoniò in corte d'assise
Pochi giorni fa, il 31 luglio 2012, un tribunale belga ha sentenziato la liberazione della moglie del sig. Dutroux (meglio conosciuto come il mostro di Marcinelle), per la donna si sarebbero aperte le porte della prigione per essere accolta in un convento, la notizia ha sollevato molte polemiche in Belgio e la decisione è stata impugnata dai legali delle vittime ed è al momento sospesa.
Tutti hanno diritto alla riabilitazione se hanno scontato le loro colpe ma  ci sono casi in cui è quantomeno dubbio se certe colpe possano essere in qualche modo  emendate e i fatti di Marcinelle appartengono alla categoria delle colpe senza perdono (almeno tra gli esseri umani).
Per chi volesse approfondire o rinfrescare la memoria sui fatti consiglio la lettura del breve libro scritto da Sabine Dardenne, una delle bambine sopravvissute al folle che l'aveva sequestrata e seviziata e la cui testimonianza ha pesantemente contribuito a incastrare definitivamente il colpevole.
Sabine aveva 12 anni quando, il 28 maggio 1996, quando venne rapita mentre con la sua bicicletta stava andando a scuola, è l'inizio di un incubo durato 80 giorni fino alla sua liberazione ad opera delle forze di polizia. Nella stanzetta prigione, occultata dietro una parete mobile in un edificio semi abbandonato, Sabine non può sapere che l'hanno preceduta altre bambine tutte già morte per mano del suo carceriere: Marc Dutroux, un sadico pedofilo.

Il libro deve considerarsi più il tentativo di razionalizzare e superare l'incubo di cui è stata vittima l'autrice piuttosto che una cronaca morbosa delle sevizie subite su cui infatti (e per fortuna) sorvola essendo fin troppo eloquenti anche solo le allusioni.
Il racconto autobiografico è anche l'occasione per Sabine per cercare di spiegare a sè stessa e agli altri quale mostruoso condizionamento e distorsione della realtà l'abbia portata a chiedere al suo carceriere una compagna, già perché la liberazione di Sabine avviene proprio a seguito dell'ennesimo sequestro a opera di Dutroux il quale ha accondisceso alle richieste di Sabine e le ha portato una compagna. L'ultima vittima sarò prigioniera solo per pochi giorni, quanto basta per entrare in contatto con tutto l'orrore del caso, e Sabine aveva certamente bisogno di scrollarsi di dosso il senso di responsabilità per la sua richiesta.
Come risulterà evidente dalle indagini successive, Dutroux avrebbe in ogni caso proceduto con un ulteriore sequestro e Sabine sarebbe andata presto ad aggiungersi al numero dei corpi sepolti in precedenza, era il suo modus operandi. 

Sabine nel 1996
all'epoca del rapimento
Tornando alla moglie di Dutroux (il quale aveva già sulle spalle una condanna a 11 anni per violenza su minore ma era stato incredibilmente liberato dopo solo due anni per "buona condotta"), le indagini hanno accertato che un paio di precedenti vittime sono morte di fame e sete, in quel periodo infatti Dutroux era in stato di arresto ma la moglie non lo ha denunciato e addirittura pur essendo al corrente delle prigioniere non le ha liberate e neppure gli ha portato da mangiare, lasciandole morire. La sua spiegazione è stata che temeva il marito e non voleva rischiare la sua ira nel caso lo avesse smascherato. Può un convento (magari con oratorio annesso) essere la logica destinazione per un soggetto del genere?

Dopo l'arresto Marc Dutroux cercò di difendersi teorizzando una vasta cospirazione di pedofili internazionali con aderenze nelle più alte sfere e tentò di farsi passare come un sottomesso esecutore e sorvegliante che anzi aveva tentato di salvare le bambine portandole da mangiare e cercando di difenderle da quel fantomatico "branco di mostri pedofili"per cui lavorava.
Naturalmente a differenza delle sue piccole vittime gli investigatori non si sono fatti abbindolare da queste assurde storielle che sono risultate false alle prime verifiche. Dutroux agiva da solo ma in almeno un'occasione ha avuto un complice per il rapimento (tutt'ora sconosciuto).

La moglie certamente sapeva e ha taciuto, non è dato sapere se lei lo abbia attivamente aiutato a nascondere i cadaveri o altro, ma questo non modifica le sue enormi responsabilità.

Un caso che una volta di più fa riflettere sulle reali possibilità di riabilitazione dei pedofili e impone un generale ripensamento dei regolamenti per la concessione della libertà per questi particolari delitti.

[Avevo 12 anni, ho preso la mia bici e sono partita per andare a scuola... / Sabine Dardenne / Bompiani Overlook ]

16 lug 2012

24 personalità multiple, una storia vera - di Cameron West


Cameron West
Il titolo di questa autobiografia: “Prima persona plurale” sintetizza bene il tema dell’intera vicenda: Cameron West è un uomo adulto, ha un buon lavoro, sposato con un  figlio; improvvisamente una mattina si ritrova a confrontarsi nello specchio con un altro sé stesso, che gli parla come fosse un’altra persona, con caratteristiche autonome, voce, personalità, etc. Da questo momento in avanti gli episodi di questo genere di moltiplicano e si fanno più frequenti e anche gli alter ego aumentano in numero e varietà fino ad arrivare all’incredibile cifra di 24 personalità conviventi nella stessa persona

Oggi Cameron West è un uomo consapevole del proprio disturbo diagnosticato come Disturbo dissociativo dell’identità, e con buona pace degli scettici, per lui è una cosa assolutamente reale, con cui nel tempo ha imparato a convivere. Gli episodi di dissociazione sono ora più controllati e meno frequenti, anche il numero delle personalità conviventi si è sensibilmente ridotto e benché la sua sia una vita “collettiva”, in qualche modo ha imparato a convivere con quelle parti di sé che ora chiama i suoi amici. 

La chiave di questa storia sta nel passato di Cameron, un passato di abusi completamente rimosso e che è infine riesploso sotto questa stravagante epifania di personalità, per la maggior parte bambini, maschi e femmine, dai caratteri diversissimi. In qualche modo è come se la psiche di Cameron si fosse scissa in varie componenti, a chi l’audacia, a chi la timidezza, a chi la sottomissione, a chi la violenza (che sfocia in ferite auto inflitte). Una formula efficiente per sopravvivere all’orrore dei traumi subiti attribuendoli ad altri, e precisamente un altro sé.

Il libro è senz’altro affascinante per l’evidente difficoltà di normalizzazione di un simile fenomeno (passando per ricoveri, terapie e la difficilissima accettazione dei propri altri sé), immaginate cosa può comportare un disturbo di tal fatta nelle relazioni (per esempio sul lavoro) ma sopratutto quali ombre di paura può gettare sulla relazione di coppia e in particolare su quella con il figlio (ancora piccolo e bisognoso di un contesto familiare esemplare).

La lettura è coinvolgente, l’argomento inquietante, il finale ottimistico.
La lezione di Cameron è che la normalità non esiste o meglio che vi possono essere varie forme di “normalità”: la sua, conquistata dopo lunghi sforzi e con il supporto di medici, terapeuti e dell’insostituibile supporto della famiglia, è precisamente un esempio di questa personalissima variante di normalità. Un io plurale che in qualche modo ha trovato un adattamento, un esistenza diversa ma possibile che non può mancare di suggellare nel lettore più di una riflessione.

Fa pensare.

[ Prima persona plurale / Cameron West / Sonzogno ]


13 lug 2012

Mistery in Svezia: Martin Beck - di Sjowall, Wahloo


Per Wahloo e Maj Sjowall
I coniugi Maj Sjowall e Per Wahloo sono gli autori della celeberrima serie di gialli, dieci in tutto, pubblicati  tra il 1965 e il 1975 con protagonista il detective Martin Beck

Tutti i romanzi della serie recano il medesimo sottotitolo “Romanzo su un crimine” da intendersi riferito alla società svedese nel suo complesso, spogliata dei suoi mascheramenti, e mostrata per quel che è davvero: una struttura anacronistica, inadeguata ai cambiamenti che recepisce troppo tardi o ignora del tutto, sorda ai bisogni e ai sogni delle persone. 
Lo Stato in quanto tale è un entità criminogena i cui apparati preposti al controllo (a partire dalle forze di polizia) risultano quanto di più lontano dall’efficienza e dalla giustizia si possa immaginare. 
Tutto questo non certo a causa delle singole persone, Beck e alcuni colleghi sono acuti, profondi ed efficienti; è la macchina dello stato che distorce e vanifica ogni cosa, pervasa com’è da pregiudizi e atteggiamenti fascistoidi, lotte di potere e incolmabili ignoranze che producono e conservano un’ottusa e fallimentare modalità nell’affrontare i cambiamenti culturali e sociali che attraversano la società svedese. 

Per un italiano potrà risultare strano pensare alla Svezia, da sempre faro della liberazione dei costumi e del civismo, come una realtà in cui lo scontro culturale/sociale sia stato così perturbante. Tuttavia dobbiamo ricordare che i libri di di Sjowall e Wahloo sono stati scritti in un decennio di grande fermento culturale e sociale, quando la controcultura giovanile impattò sulla tradizione dando luogo a contese tanto aspre da degenerare in atti brutali (da entrambe le parti: stato e rivoluzione) e di cui il nascente fenomeno della lotta armata fu la più acuta espressione. 
Vale la pena di ricordare che la Svezia era e rimane una delle nazioni con il più basso indice di criminalità, cosa che in parte può spiegare la forte impressione che gli inattesi scontri di piazza (dove il più delle volte militari armati aggrediscono brutalmente manifestanti disarmati) possono avere generato. 

Le trame dei romanzi si dipanano generalmente attorno a un caso di omicidio seguendo l’iter delle indagini (infatti sono generalmente indicati come l’invenzione del “giallo procedurale”), la soluzione del caso raggiunta a seguito dell’acume di Beck produce invariabilmente l’evidenza della mostruosità e pericolosità della macchina burocratica, quello Stato che invece di proteggere vanifica, ottunde e spesso colpisce alla cieca guidato da semplice idiozia o brutalità. 

La lezione di questi romanzi è l’educazione civica in senso socialista, laddove la trama gialla sebbene intrigante e gustosa lascia sempre maggior spazio (specie nei romanzi più recenti) all’analisi e alla critica della società svedese neo capitalista.
I romanzi sono coinvolgenti e davvero belli sotto diversi aspetti, le trame sono intriganti e intelligenti e la sottotraccia politico/sociale è altrettanto acuta e illuminante

Martin Beck poi non è il solito detective tuttologo e neppure l’unico furbo in un mondo di stolti, egli si avvale dei colleghi avendo cura di cogliere da ciascuno l’aiuto che può offrire (la memoria, l’esperienza, la dedizione, la precisione, etc.); Beck è un uomo in un contesto anti-umano, per questo a differenza dei suoi capi (burocrati senz’arte né parte) egli è capace di penetrare il mistero fino alla soluzione. 

Il consiglio è leggerli in ordine cronologico (sono tutti disponibili da Sellerio) ma dovendo scegliere forse “La camera chiusa”(pubblicato nel 1972) è uno dei più riusciti, dimenticate i rompicapo alla John Dickson Carr (lo specialista dei delitti nella camera chiusa), piuttosto potrete ritrovare qualcosa in comune con il Fajardie di “Assassini di sbirri” (scritto nel 1975 anche se pubblicato per la prima volta nel 1979) e la serie di romanzi che seguirono con protagonista il commissario Padovani. 
A scanso di equivoci non si tratta di una riscrittura e neppure di un omaggio, i due romanzi hanno genesi diversissime e completamente indipendenti. Le due serie Beck-Padovani hanno canoni estetici diversissimi (Beck è molto distante dal pulp Neopolar di Padovani) ma quanto alla critica sociale i punti di contatto sono notevoli, una cosa decisamente interessante considerando le differenze culturali tra Francia e Svezia.

Gustosissima lettura se vi piacciono i gialli, ancora di più se non amate il genere.
Consigliatissimi

[ I primi casi di Martin Beck / Maj Sjovall Per Wahloo / Sellerio ] (3 romanzi)
[ Martin beck indaga a Stoccolma / Maj Sjovall Per Wahloo / Sellerio ] (3 romanzi)
[ L'uomo sul tetto / Maj Sjovall Per Wahloo / Sellerio ]
[ La camera Chiusa / Maj Sjovall Per Wahloo / Sellerio ]
[ Un assassino di troppo / Maj Sjovall Per Wahloo / Sellerio ]
[ Terroristi / Maj Sjovall Per Wahloo / Sellerio ]

27 giu 2012

La donna ideale (Manuale teorico pratico 1957)

Nulla a che vedere con il romanzo di Ira Levin (The Stepford wives - tit. italiano La fabbrica delle mogli), questo volume che ho trovato su una bancarella è un’edizione fuori commercio del 1957 di Aldo Palazzi Editore.
Il titolo completo dice già molto di quanto si può trovare tra le sue oltre trecento pagine: “La donna ideale ...bella allo specchio …brava in cucina”. Sarebbe un perfetto titolo satirico, stile Amurri, se non fosse che purtroppo nelle intenzioni degli autori il libro si vuole terribilmente serioso.

Vale la lettura esclusivamente quale esempio della peggiore retorica maschilista, una sequela di stereotipi insopportabili ma a ben vedere in parte ancora presenti neppure troppo sottobosco.
Il tono paternalista con cui il testo si rivolge alle donne come se si trattasse di curiose bestioline, limitate e superficiali, che al massimo si può cercare di addomesticare affinché si curino nell’aspetto, stiano composte, sottomesse e naturalmente siano servizievoli e si occupino della casa; al confronto un barboncino è meno imbarazzante e si può sperare che impari di più.

A cosa potrà mai servire una donna se non sa cucinare? Ecco allora che circa metà del “manuale” si compone di ricette complete di irritanti suggerimenti su quando fare che cosa, come presentarlo, etc. Un ampia collezione di foto arricchisce il volume se possibile peggiorando ancora le cose, le didascalie che le commentano raggiungo vette di assurdità tali da nauseare per l’indignazione.

Come dicevo una lettura sicuramente istruttiva, ma non condivisibile, che può aiutare a comprendere come sia possibile che ancora nel 2012 la nostra povera Italia sia così terribilmente arretrata quanto a parità tra i sessi.
Da notare che il destinatario di questo assurdo manuale sono le donne, quasi che una sindrome di Stoccolma ante litteram impedisse alle vittime di un tale trattamento di riconoscere l’assurdità di tali modelli comportamentali. 

Letto con occhio cinico il libro è involontariamente comico, esplosivamente divertente, genere vaudville; ma è triste pensare che non solo in passato (il libro è del 1957, non secoli fa), ma persino oggi, ci possa essere anche solo una persona capace di condividerne le tesi.

Se ne consiglia la lettura “critica”, dopo potrebbe essere salubre compensare con qualcosa di segno opposto, per esempio “Turks fruit” (tit. italiano Olga la rossa) di Jan Wolkers.

  [ La donna ideale / Tedeschi, Véronique / Aldo Palazzi Editore]

24 giu 2012

Franz Kafka / Orson Welles: il processo - a cura di Cimmino, Dottorini, Pangaro


Perkins in The Trial  by Orson Welles
“Il processo” (pubblicato postumo nel 1925) è forse il più simbolicamente potente dei romanzi (tutti incompiuti) di Franz Kafka, non altrettanto si può dire della interpretazione cinematografica che nel 1962 ne fece Orson Wells della cui produzione non rappresenta certo l’apice e che tuttavia rimane irresistibilmente interessante, più per le distanze che non per le affinità con il testo kafkiano.
Questo agile volume raccoglie numerosi brevi saggi (tra questi anche uno di Michael Lowy) che scandagliano la relazione tra la versione cinematografica e il testo originale approcciando la questione da punti di vista ogni volta diversi. In un caso si fa anche un breve accenno anche alla versione cinematografica di Soderbergh. 

Come appassionato di Kafka ho trovato la raccolta assolutamente interessante, avevo inevitabilmente visto sia la versione cinematografica di Welles (fantastiche le inquadrature e i giochi di luce) sia quella di Soderbergh (si perde nelle parti a colori) e devo dire che condivido una buona parte delle critiche contenute nei vari saggi del volume. Il punto però non è quanto il film mal traduca il libro quanto piuttosto se sia possibile trasporre la particolare poetica kafkiana su un mezzo tanto diverso: a mio avviso no. Il che ovviamente non significa che a entrambi i film manchino meriti, piuttosto bisogna considerarli altro da Kafka.

Orson Welles
“Il processo” in entrambe le versioni, romanzo e film, è una potente sorgente d’immaginazione. L’apparente vicinanza al testo di alcune delle sequenze di Welles (si pensi alla scena del fustigatore, l’inseguimento nelle soffitte del tribunale  o ancora il surreale colloquio ai piedi del letto dell’avvocato) delinea in realtà una poetica del tutto diversa, quasi opposta. Non a caso Welles muta significativamente alcune battute del protagonista, ne cambia il carattere, il film è un’interpretazione anche un po’ forzosa, ben al di là dell’atmosfera del testo. Il celebre racconto “Davanti alla legge” inserito da Kafka ne “Il processo” viene da Welles anticipato e letto integralmente come incipit del film, ed è questa forse l’unica fedeltà al testo che Welles si concede, per il resto come in tutti i suoi film, a troneggiare sulla pellicola è Welles stesso con la sua ingombrante personalità. L’interpretazione di K. resa da Anthony Perkins (che già lottava per togliersi di dosso il personaggio interpretato in Psyco) è ottima, ma non ha nulla del mood kafkiano, lo stesso vale per Romy Shneider nella parte di Leni. 
Franz Kafka

Gli appassionati non troveranno Kafka nel film di Welles quanto piuttosto Welles calato nell’immaginario kafkiano. 
Vi è una sorta di intraducibilità dei sottesi e delle suggestioni che i diversi mezzi utilizzano e suggeriscono, la curvatura interpretativa se applicata a Kafka è sicuramente inevitabile ma ciò non significa che non sia proficua, anzi. Il punto semmai è che porta altrove, inutile cercare Kafka in una sua impossibile trasposizione.
La ricchezza di informazioni, dettagli, curiosità e punti di vista alternativi è la vera forza di questo libro che consiglio tanto ai fan di Kafka quanto a quelli di Welles. Per entrambi se non lo avete ancora fatto procuratevi una copia del libro e del film e godeteveli.

[ Franz Kafka - Orson Welles: il processo / Aa.Vv / Rubettino ]

21 giu 2012

The blue moment - di Richard Williams

Miles Davis
Non sono un esperto conoscitore della musica jazz ma la ascolto volentieri e qualche volta strimpello qualcosa sulla chitarra, tra i miei preferiti sicuramente alcuni esponenti del jazz caldo (Charlie Parker, Charlie Christian, Django Reinhard). Dove be bop e swing sono azione, ballo e frenesia, il jazz freddo è emozioni e riflessione, un’ascolto empatico e cerebrale insieme, eseguito alla chitarra poi (negli stretti limiti delle mie capacità) è un rilassante intermezzo sulla Les Paul dopo una sudata sulla Stratocaster con Hendrix e Led Zeppelin.

"Kind of Blue" di Miles Davis è uno dei pochi dischi jazz di cui oltre a riconoscere i pezzi so collegare i nomi, i brani sono tutti belli, tra tutti forse i miei preferiti sono Blue in green e Flamenco Sketches. Una mattina li ascoltavo in cuffia mentre nuotavo in piscina, un’esperienza estraniante. All blues e So what non sono da meno ma di questi ho in mente sopratutto altre versioni: Kenny Burrell, George Benson, Wes Montgomery, etc.

Il libro di Williams a tratti è forse fin troppo esoterico quando si inoltra in considerazioni tecniche sulle composizioni ma il discorso è agevole e interessante anche per chi come me non ha competenze così specifiche, una storia dell’influenza dell’album di Miles, delle sue premesse e sopratutto della vasta influenza che ha generato, come recita il sottotitolo del libro: come Kind of Blue ha cambiato la musica
Una piacevolissima digressione sulla così detta musica blu, un punto di svolta netto e gravido di conseguenze, se Hegel avesse ascoltato il jazz, su Kind of Blue avrebbe potuto probabilmente dire “lo spirito nel mondo in un disco”.

- Curiosità
Per un buon ascolto consiglio il doppio cd “Kind of Blue [50th Anniversary Collector's Edition]” completo di “studio sequence”, “alternate takes” e “false start”.
Mettete il disco in loop mentre leggete il libro…

[ The blue moment / Richard Williams / Il Saggiatore ]

6 giu 2012

Alfred Hitchcock presenta…


Alfred Hitchcock
Il faccione sornione di Alfred Hitchcock della prima pagina mi guardava dalla bancarella dove ho pescato questo piccolo volumetto, con la memoria sono andato a quando ero bambino e alla tv in bianco e nero dove di tanto in tanto poco prima di cena compariva questo buffo signore accompagnato da una musichetta riconoscibilissima che poi sfumava in un profilo stilizzato che lo ritraeva.
Hitchcock inscenava piccoli sketches comici ad apertura e chiusura di ogni puntata; gli episodi erano brevi storie di crimini che celavano sempre un colpo di scena sorprendente. 
Il libro raccoglie alcune di questi noir, brevi ma fulminanti, spesso dallo humor amaro e dal finale a sorpresa. Della raccolta con contributi di vari autori, ho apprezzato in particolare  il racconto “Piano 19” del mitico Jack Ritchie, autore di moltissimi racconti tanto brevi quanto geniali, molti dei quali hanno fornito materiale per la serie televisiva “Alfred Hitchcock presenta”.
La raccolta è stata pubblicata per la prima volta nel 1971 in America, in Italia dal 1974, fa riferimento alla prima serie di telefilm “Hitchcock presenta” prodotti tra il 1955 e il 1962.
Un briciolo di malinconia in salsa noir.

[ Alfred Hitchcock presenta - Sei piccole bare / AA.VV / Feltrinelli ]