24 set 2012

La catastròfa - di Paolo Di Stefano


(8 agosto 1956) l'incendio del pozzo Bois-du-Cazier
Un racconto a più voci, mantenute anche nello stile, il più possibile aderenti allo spirito (al pathos e all’innocenza) delle testimonianze dirette raccolte all’autore di questo volume dedicato alla tragedia mineraria di Marcinelle. Nel libro viene ricostruita la vicenda dell’incidente in miniera avvenuto nel lontano 8 agosto 1956, in Belgio; fu una strage: dei 274 lavoratori che si erano calati nelle gallerie quella mattina pochissimi fecero ritorno alla superficie, 262 morirono e tra questi 136 erano immigrati italiani. Fu la prima grande disgrazia mineraria moderna, purtroppo non è stata l’ultima; le cause (per quello che emerge dalle testimonianze e dagli atti del processo che ne seguì) sono ancora una volta da ricercare nello sprezzo per la vita altrui (specie degli immigrati poveri), nell’avidità di pochi e nella rincorsa al profitto ad ogni costo. Un carrello si incastrò nell’ascensore danneggiando una conduttura d’olio posata acanto alle condotte elettriche, di qui l’incendio, fiamme e fumo che riempirono le gallerie senza lasciare scampo a quanti vi si trovavano dentro. Soccorsi che partono a rilento, niente estintori, niente procedure di evacuazione, niente pozzi alternativi da cui uscire: una trappola mortale 1 km sotto la superficie.  La sicurezza sul lavoro nella miniera di Marcinelle era un optional indesiderato in quel lontano (ma neppure tanto) 1956; purtroppo il triste record di morti sul lavoro dell’Italia 2012 testimonia che resta ancora molto da fare anche nel nostro paese.

Tra le varie voci che compongono la ricostruzione degli eventi trovano spazio le memorie dei sopravvissuti, le testimonianze in tribunale, il dolore dei parenti, e lentamente ma inesorabilmente il quadro inizialmente confuso, come il fumo di quel giorno maledetto, si fa progressivamente più chiaro, anzi alcuni accenni aprono spiragli a ipotesi inquietanti ma crudelmente in linea, non solo con i fatti, ma anche con il generale atteggiamento che le autorità Belga e, molto più colpevolmente, le autorità italiane tennero sulla questione al momento dell’incidente. Incredibilmente ancora oggi sembra preferirsi dimenticare e omettere piuttosto che confrontarsi con la cattiva coscienza di due nazioni. 

Un braccio della miniera di Marcinelle
Nel libro emerge con chiarezza la situazione di quasi schiavitù accordata ai minatori, specie se immigrati (gli italiani), il tutto con il plauso del governo italiano che siglò un particolare accordo con il Belgio che prevedeva tra le altre cose una sorta di vendita, per minimo un lustro, di manodopera fresca, vigorosa e sottopagata in cambio di una contropartita in carbone per lo stato italiano in funzione della produzione della miniera. Non è difficile immaginare come i troppi occhi tenuti chiusi sulle condizioni di lavoro dei nostri compatrioti spinsero poi quel governo (e molti di quelli che lo seguirono) a scegliere il silenzio sulla questione, basti pensare che nessun presidente o ministro italiano si recò sul posto ai tempi della tragedia, nonostante l’ingente contributo di sangue  dei lavoratori immigrati italiani. 
Il libro testimonia il povero stile di vita dei minatori, le inaudite carenze in materia di sicurezza, evidenzia la parzialità dell’inchiesta e l’inerzia con cui i colpevoli furono lasciati senza nome o senza punizione. 
La descrizione delle condizioni di lavoro e di vita dei minatori sono, di per sé stesse, motivo di indignazione e compassione, un sentimento quest’ultimo che è ben difficile accordare a quegli ingegneri e periti della miniera che, per sottrarsi a pesanti responsabilità, durante il processo (temerariamente e impunemente) sostennero l’insostenibile: come il non avere mai saputo che l’olio brucia, o che l’assenza di estintori non era pregiudizio alla sicurezza. 

PaoloDi Stefano
Molto tempo è passato ma forse non abbastanza, sono infatti recenti (estate 2012) le polemiche insorte tra Italia e Belgio proprio a seguito di questo libro. Il museo della miniera ha ritenuto non includerlo tra le sue disponibilità, contestandone il contenuto (ma forse piuttosto temendo i dubbi che avrebbero potuto sorgere nei lettori) e preferendo invece attenersi alle versione ufficiale del 1956: una disgrazia inevitabile. Ogni altra possibile verità deve rimanere taciuta, con buona pace del paziente lavoro di documentazione dell’autore di questo libro, il giornalista e inviato del Corriere della Sera Paolo di Stefano, che ha polemicamente replicato alla decisione del Museo dalle pagine del suo giornale.

Per non dimenticare.

[ La catastròfa / Paolo Di Stefano / Sellerio Editore ]