12 gen 2016

Radicalismo islamico - di Davide Tacchini

In questo libro si ripercorre la storia del radicalismo islamico con particolare riferimento alla figura dell'egiziano Sayyd Qutb, martire dell’Islam (fu impiccato dal governo egiziano di Nasser nel 1966 a seguito dell’arresto per aver progettato di destabilizzare lo stato). Qutb partito da posizioni di maggiore medietà finì per radicalizzarsi, specie dopo l’esperienza (sicuramente difficile) delle ripetute carcerazioni e del “tradimento” politico del gruppo dei “Fratelli musulmani” da parte del governo Nasser.      Nel libro si riporta la prima traduzione traduzione completa (in lingua occidentale) del diario americano di Qutb, egli infatti si recò nel 1948 negli USA per studiare pedagogia moderna.  Nei tre anni del suo soggiorno americano Qutb subì un vero e proprio shock culturale impattando con la società americana, tanto che invece di una maggiore apertura l’esperienza lo spinse a radicalizzare ulteriormente il proprio pensiero, di questo "rimbalzo" culturale è testimone il breve scritto che Qutb pubblicò con il titolo “L’America che ho visto”  e che diventò (ed è ancora) lo scritto sul quale il mondo islamico ha costruito il proprio immaginario dell’occidente.
Evidentemente nel libro si mettono in evidenza alcuni elementi di particolare “distanza” rispetto alle possibilità di dialogo tra culture, l’impianto generale non è quello di evidenziare le differenze a discapito dei possibili punti di contatto e quindi di dialogo, piuttosto si riporta alla necessità di considerare anche quegli elementi (minoritari ma forti) che costituiscono tuttavia la base della apologetica musulmana,  che si replica quasi invariata in chiave anti cristiana e anti occidentale da quasi 10 secoli. L’istanza di autoreferenzialità dell’Islam radicale cade in realtà nella fascinazione (o nell’umiliazione) del divario tecnologico, iconico e culturale esibito dall’Occidente, per questo anche il radicalismo finisce per ricalcarne alcuni costrutti, la modernità è un fatto che non può essere ignorato.  Il radicalismo islamico in alcune forme non rivendica un ritorno al medioevo tradizionale, ma fa propri gli strumenti della modernità (la tecnica, l’economia) nel tentativo di tracciare una via alternativa autarchica di matrice islamista (con tutte le contraddizioni che può comportare).

Questo tema di spinta di emancipazione, rifiuto dell’altro, istanza esclusivista, e in ultima analisi questa prospettiva disperata di rappropriazione di un proprio “ecosistema culturale” che viene vissuto come minacciato su ogni fronte (compreso quello interno dei musulmani meno radicali) rilancia la propria azione fino alle estreme conseguenze in una logica di cancellazione (potremmo dire: eliminazione) della differenza/divergenza anche più piccola. Questa spinta radicale è figlia in Qutb almeno in parte della disperazione provata nel periodo delle carcerazioni quando provato nel corpo e nello spirito non vedeva probabilmente più alcuna speranza nel compromesso e nel dialogo. Quasi un voler ripagare con la stessa moneta un nemico che a suo modo di vedere non mirava ad altro che al suo annichilimento/annientamento definitvo.  L’influenza di Qutb nella apologetica islamista radicale è assolutamente evidente, anche nelle formazioni più recenti da Al Qaeda al sedicente Califfato Islamico (Isis). Questo libro contribuisce a comprendere meglio sia il punto di vista sia il meccanismo attraverso il quale si può arrivare a posiziono estremiste come quelle che non cessano di preoccupare (e insanguinare) gran parte del mondo occidentale e non solo.

Sayyd Qutb (1906-1966)
Nel libro emerge chiaramente come l’elemento cardine sia la pretesa totalitaria dell'Islam come orizzonte unico per la vita sociale, al punto che seppure in qualche caso sono concesse trasgressioni individuali/private, nessuna licenza è permessa a livello sociale/pubblico, ma trattandosi di minaccia non a un ordine umano bensì divino, non c'è spazio per la compassione e la tolleranza, da qui il valore esemplare dell’uso della violenza anche estrema, anche teatralizzata come le aberranti gesta dell’isis mediatico stanno a dimostrare. Si tratta di un saggio che offre molti spunti di riflessione e soprattutto di conoscenza su questioni che sull'onda del terrorismo internazionale impattano ormai su scala globale.


Per concludere riportiamo qui alcuni dati eclatanti (non li troverete nel libro) ottenuti da un recente studio del dipartimento di psicologia dell’Universita di Chicago che ha coinvolto sei nazioni (Canada, Cina, Usa, Giordania, Turchia, Sud Africa). Ad esempio in un esperimento sono stati coinvolti dei bambini mostrandogli dei filmati nei quali alcuni loro coetanei spintonavano (volontariamente o no, a seconda dei casi), poi è stato chiesto agli spettatori di valutare l’eventuale livello di cattiveria dei protagonisti e/o l’opportunità di una punizione per il colpevole del gesto. Il risultato è stato che i bambini religiosi, e in misura leggermente maggiore quelli di credo islamico rispetto a quello cristiano, sanzionavano moralmente il gesto e il suo autore (fino a considerare eventuali punizioni anche se il gesto era involontario), mentre i bambini non religiosi mostravano maggiore tolleranza. Un altro esperimento metteva in scena il "gioco del dittatore", che misura l’altruismo, laddove alcuni bambini dispongono esclusivamente di un gioco e possono se vogliono condividerlo, rinunciandoci in parte, con altri bambini. Risultato: anche in questo caso i bambini religiosi condividevano meno degli atei. A questi risultati si affianca il fenomeno diametralmente opposto della percezione dei genitori relativamente ai propri figli, ovvero i genitori religiosi sovrastimano rispetto ai genitori atei  la moralità dei propri figli attribuendo erroneamente ai bambini religiosi un maggiore livello di generosità e di empatia verso i propri coetanei. 

Il direttore dell’esperimento Jean Decty ne conclude che il fenomeno si spiega con il meccanismo della “licenza morale” laddove più si è sereni sulla propria condotta meno si è urtati dalle trasgressioni altrui, e parallelamente diventa elemento di disinibizione personale del proprio egoismo e minore socialità laddove si suppone che non sia necessario farsene carico in prima persona laddove c’è già una religione (o Dio) che se ne occupa.