20 apr 2012

Cronache del mondo rimosso - di Slavoj Zizek


Slavoj Zizek
Per chi non conoscesse l’istrionico filosofo sloveno Slavoj Zizek questa raccolta di brevi saggi e articoli può offrire una buona occasione per avvicinare l’esuberante personalità di un pensatore fieramente “di parte”, capace di mescolare elementi pop (cinema, televisione, etc.) con riferimenti alti sia in campo filosofico sia  psicoanalitico. In questa raccolta dal titolo “Distanza di sicurezza. Cronache del mondo rimosso” trovano posto brevi interventi a commento degli eventi (e loro conseguenze) che hanno segnato il post 11 settembre a partire dal primo anniversario degli attentati. Zizek fa proprio l’adagio di Lacan:”La verità si esprime negli spiazzamenti del tema centrale” e il risultato è una miscela conturbante e originale di elementi diversi e distanti tra loro che riesce a fare scaturire il pensiero alto dalle piccole cose, e che può aprire squarci di comprensione sui grandi temi, operando da punti di vista originali e inaspettati. 
In queste brevi incursioni da editorialista, Zizek affronta il tema della libertà e le sue storture attaccando le strutture di controllo del consenso (siano esse manifestazione di un potere o un fenomeno culturale o psicologico), molte le notizie provocatorie e curiose (ma vere) che si possono trovare nei testi. Il punto di vista critico di Zizek si pone da una prospettiva “di sinistra” ma che affonda nell’esperienza diretta del socialismo reale (con tutti i suoi lati oscuri) e della sua dissoluzione, è il punto di vista di chi guarda al passato senza rimpianti e in modo critico al futuro (/presente)  che viene propinato come il migliore dei mondi possibili (una non scelta, essendo priva di alternative, che a uno sguardo disilluso suscita più di qualche diffidenza).
La cultura pop irrompe nei testi fornendo spunto e pretesto per ragionamenti sui massimi sistemi, così il richiamo al film “Minority Report” apre a una riflessione sul concetto di “attacco preventivo” laddove il trasformarsi in vittima degli USA ha condotto alla logica del “con noi o contro di noi” ovvero alla pretesa di essere la sola istanza possibile. Rispetto ad essa gli USA gridano al mondo “svegliatevi”, ma la realtà è che con questo imperativo si anestetizza la capacità di giudizio altrui (del popolo americano e della comunità internazionale) per riscuotere un appoggio che non accetta alcuna verifica o condizionamento (la critica è ammessa purché non produca effetti pratici, in quanto funzionale al mantenere la facciata democratica). 

W. Bush
Zizek mostra gli aspetti patologici della paranoica missione di “esportazione della libertà” (o della democrazia), egli scrive nella contemporaneità dei fatti, durante la seconda guerra del golfo, e proprio nell’evoluzione delle sue analisi si può leggere una non comune capacità di penetrare le contraddizioni dell’amministrazione americana (in piena revanche dagli attentati), che purtroppo possono ricordare le più cupe manifestazioni ideologiche del ‘900 a cominciare dal nazismo della soluzione finale, che non diversamente da Bush (il quale invoca il proprio Dio a garante della missione salvifica per l’umanità contro il male), adottava posizioni altrettanto mistificatorie alimentando la teoria della “missione epocale”, del “compito della storia” (guarda caso il vettore del destino dell’uomo erano i nazisti stessi. Dal loro punto di vista si facevano carico di uno scomodo fardello per il bene dell’umanità, quella autenticamente tale, la loro). Sebbene sia chiaro che gli usa non promuovano alcuna “soluzione finale”, non è però difficile rilevare inquietanti similitudini nel linguaggio della propaganda pro guerra e nella politica militare USA nei confronti dell’islam (ma estendibile a qualunque realtà non perfettamente compiacente e diversa da sé). La minaccia terroristica spogliata di una precisa collocazione (non un popolo, un nazione, ma una non meglio definita cospirazione internazionale) apre le porte alla percezione di un pericolo le cui proporzioni sono insondabili, un’emergenza permanente; allo stesso modo anche la risposta (resistenza) a questa formidabile minaccia non può cessare, è la “giustizia infinita” di Bush & C appunto (inquietantemente imparentata alla teoria del “colpo alla schiena” di triste memoria). 
Nell’America del conflitto di civiltà, quella del patriot act e della sospensione dei diritti civili, un rassicurante segnale del persistere della democrazia sta paradossalmente nell’emersione degli scandali di Abu Ghraib (terribili in sé),  solo in una autentica democrazia avrebbe potuto emergere una simile notizia, le dittature semplicemente oscurano (e con efficacia) le informazioni sgradite.Questo elemento da solo non basta tuttavia a mettere al riparo dai pericoli di una cultura del nemico così maledettamente funzionale al capitale e alle ciniche speculazioni geopolitiche ed economiche che ne derivano. 

Nella foga del patriottismo anche il linguaggio si fa meno circospetto e la pancia dell’America, quella del radicalismo, del populismo e del fanatismo religioso cristiano, trova una cassa di risonanza e si mostra come il lato oscuro del paese, l’altra faccia del sistema, ineliminabile e ad esso indissolubilmente legato. Non è quindi un caso che il columnist favorito da Bush, Fareed Zakaria (autore nel 2003 del saggio “Democrazia senza libertà” -The Future of Freedom: Illiberal Democracy at Home and Abroad), disserti sul concetto di “deMOREcrazy” ovvero di quelli che a suo avviso sono i pericoli connessi ad un eccesso di democrazia, laddove teorizza la necessità di fare precedere la libertà (dalle regole) alla democrazia (l’istituzione di regole comuni) affinché “ciò che deve essere fatto si possa fare”. Siamo al  fraintendimento più profondo del mandato democratico laddove il leader non si interpreta più come un delegato bensì come il condottiero, che non segue ma guida. Una deriva pericolosa che in pratica ha già attecchito in modo pervasivo ma non altrettanto evidente sul piano dell’economia globale dove ogni decisione è irregimentata e regolata da poteri depoliticizzati in forza della presunta  necessità tecnica interna al sistema stesso. 

E’ impressionante leggere questo tipo di analisi (risalenti al periodo 2002/2004) considerando il privilegio del “senno di poi” del nostro punto di osservazione nel 2012, che ha visto la cessazione dell’intervento militare, il crollo della finanza mondiale e un progressivo abdicare della politica a un manipolo di tecnici cui è affidato il compito di preservare e salvare il sistema. 
La cosa è particolarmente evidente in Italia retta in questi mesi da un governo di “tecnici” nominato senza il passaggio elettorale. Il principio della “deMOREcrazy” prevede l’indebolimento di ogni forma di controllo e regolamentazione che possa  frenare, ispezionare o rallentare il sistema. Tipicamente questo è un trend totalitario laddove l’assunto (primo e indiscutibile) è che nessuna istanza o esigenza è contemplata al di fuori del sistema stesso, nel nostro caso significa che come gli USA hanno sistematicamente rifiutato ogni forma di condivisione del controllo o valutazione da parte di terzi del proprio operato (hanno rifiutato di sottoscrivere impegni ONU, e di riconoscere qualsivoglia organismo internazionale su qualunque decisione di politica interna o estera, interventi militari compresi) rivendicando per sé di essere l’incarnazione stessa del solo sistema accettabile (che quindi non può accettare interferenza alcuna ma è tuttavia legittimato ad esercitarla verso terzi);  analogamente nell’Europa e sopratutto nell’Italia (ma anche Grecia e Spagna) del 2012 si avvera il medesimo schema, questa volta in modo ancora più impersonale e depoliticizzato: è il sistema economico nella sua  pretesa terzietà, nella pretesa di essere esclusivamente un elemento tecnico, a imporre e disporre le più dolorose riforme sociali che stanno azzerando le conquiste sindacali degli ultimi 100 anni, aprendo a un sostanziale liberismo darwiniamo di modello friedmaniano. La giaculatoria secondo la quale è un fatto tecnico la necessità del salvataggio (in questo modo, e quale che ne sia il prezzo sociale) di “questo sistema economico”, indica una priorità che cozza brutalmente con l’innegabile verità che la situazione attuale (la crisi finanziaria) sia il frutto di questo stesso sistema economico. In questa prospettiva è straordinariamente significativo che ogni sforzo del potere sia indirizzato più all’escludere l’esistenza di qualsiasi alternativa agitando lo spettro di conseguenze ancora peggiori, piuttosto che enumerare i vantaggi (ma ci sono davvero?) di questo salvataggio. Come per lo scontro di civiltà dove si pretende di poter tracciare una linea che separa il bene dal male, anche il potere economico richiede un nemico potente e terribile che funga da leva per l’eliminazione di ogni resistenza e critica all’azione intrapresa. Come in guerra: “se non sei con noi, sei contro di noi”, un diktat che se può avere una sua coerenza in soggetti come Lenin, laddove traduce in pratica il confrontarsi di sistemi incompatibili, ma è decisamente fraudolento in un sistema che si dichiara democratico e pretende di incarnare la volontà dei molti. 
Il riassetto degli equilibri mondiali post 11 settembre non è il solo tema affrontato da Zizek, in questi brevi e sapidi interventi trovano spazio riflessioni su vari temi e anche le analisi di alcuni film come “The passion” di Gibson e la trilogia di “Matrix”(su questo segnalo, sempre di Zizek, il saggio “The matrix” dedicato alla  trilogia) e di un paio di giallisti come Patricia Highsmith (di cui Zizek è un cultore) e lo svedese Mankell. Quale che sia l’argomento Zizek non cessa di provocare giocando sullo spostamento dei piani interpretativi e articolando relazioni e suggestioni sorprendenti e spiazzanti. Una continua fucina di spaesamento in fuga dai luoghi comuni alla ricerca di quello che c’è (o potrebbe intravedersi) sotto.
Una lettura senz’altro stimolante.

[ Distanza di sicurezza / Slavoj Zizek / Manifestolibri ]
[ The matrix / Slavoj Zizek / Mimesis ]