22 mag 2012

Il paradiso degli orchi - di Daniel Pennac


Daniel Pennac
Il primo libro del ciclo imperniato sul personaggio di Benjamin Malaussène è senz’altro meritevole di lettura e anche di ri-lettura.

Il mondo stravagante e variopinto in cui si muove il protagonista è il quartiere Belleville di Parigi la cui esuberanza e mescolanza etnica mi ha ricordato la New Orleans di ”Una banda di Idioti” di John Kennedy Toole, ma a differenza di Ignatius, Malaussène non produce guai, semmai li “assimila e smorza” per professione. Il suo impiego infatti consiste nell’essere adibito a capro espiatorio di qualsivoglia reclamo della vasta clientela di un grande magazzino. Il crudele copione prevede che i clienti assistano alle aspre reprimende impartite a Malaussène quale unico responsabile del danno procurato (guasto , difetto o altro) fino a che l’empatia umana, la compassione per un tale derelitto, distoglie il cliente dalle sue pretese, riducendo l’entità dell’eventuale rimborso. 

Pieno di invenzioni e infarcito di riferimenti colti buttati qua e là nel caos solo apparente di una storia che procede come un piccolo noir allucinato (una successione di ordigni esplosivi che miete vittime nel grande magazzino) tra spunti di analisi sociale e critica politica. Il mondo del romanzo è caotico, eccessivo, comico e tragico insieme. 

Divertente l’idea del racconto che il protagonista inventa per favorire il sonno dei più piccoli della famiglia, una versione surreale e comica della sua vita (quella del personaggio), una maschera che ne indica un’altra, visto che il libro stesso è una versione in maschera del mondo vero (quello dell’autore). Nel romanzo cose e persone nascondono spesso un altro volto, non sempre benevolo. Il gioco di specchi e mascheramenti moltiplica i rimandi e rende i riferimenti opachi al contempo rafforzandoli.
Difficile dire di più senza guastare le sorprese di questo bel libro che vanta una tribù di personaggi bizzarri in cui traspare l’amore per le umane imperfezioni. 

A scanso di equivoci non si tratta di un giallo (sebbene la polizia sia a caccia di un assassino bombarolo), ma di un gioco di invenzioni, ad esempio ad un certo punto il protagonista si rivolge direttamente al lettore per poi ritornare alla dimensione del romanzo come se nulla fosse, tale anomala sottolineatura riguarda un’omissione, un gioco di opposizioni infatti in questo modo l’autore evidenzia dichiarando di voler nascondere. Se tralasciamo il merito dell’incursione fuori dal piano narrativo, potremmo pensare a un omaggio alla celebre sequenza di Helzapoppin’ (film cult del 1941, derivato da un celebre musical di Broadway) laddove i protagonisti interloquiscono per un momento con il pubblico.

[ Il paradiso degli orchi / Daniel Pennac / Feltrinelli ]